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Disabili, mancano i protocolli e i centri diurni restano chiusi: famiglie nel limbo della burocrazia

La Regione ha dato il via libera alla ripresa delle attività a partire dal 18 maggio, ma serve un piano concordato tra le strutture, il distretto sanitario di riferimento e l’ente locale. La situazione a Terni e nel territorio

La fase due sarebbe dovuta cominciare lo scorso 18 maggio. A partire da quella data, infatti, la Regione Umbria ha autorizzato le strutture residenziali, ossia i centri diurni, “rivolte a disabili fisici e psico-fisico a programmare la ripresa dell’erogazione delle attività a seguito della predisposizione di uno specifico piano concordato con il distretto di riferimento oltre che con l’ente locale”. Ed è qui che si sono aperte le porte di un limbo in cui sono precipitate centinaia di famiglie a Terni e in tutto il territorio provinciale.

I centri diurni nella città dell’acciaio, così come a Narni e Amelia sono chiusi. “Fanno collegamenti online tra operatori e utenti, dove possibile”, raccontano alcune famiglie. Ma la situazione, è evidente, è tutt’altro che risolutiva. Anzi.

Le linee guida della Regione sono piuttosto chiare. Eccole: “Ogni centro deve comunque rivedere la numerosità complessiva dell’utenza che vi accede, concordando con le singole direzioni di distretto una riduzione delle presenze complessive, in questo periodo emergenziale, fino ad un auspicabile 50% di quella normalmente prevista, attraverso la possibilità di garantire una gestione domiciliare anche con supporto sociosanitario. L’obiettivo è quello di garantire la ripresa delle attività con una riprogrammazione graduale in base alla valutazione del rapporto rischio-beneficio”.

Il tema centrale continua ad essere quello del distanziamento sociale, l’unica “medicina” che fino ad ora si è dimostrata efficace contro la diffusione del Covid19, oltre a tutti quegli accorgimenti di salvaguardia e prevenzione come la “sorveglianza con tampone e sierologia al momento della riapertura e il controllo quindicinale”. “I pazienti che accedono alla struttura – raccomanda la Regione - devono altresì essere sottoposti a sorveglianza e nel caso di difficoltà di sottoporre gli stessi a tampone orofaringeo potranno essere sottoposti a dosaggio sierologico con metodo qualitativo”.

Ai paletti della Regione devono però seguire le indicazioni dei distretti sanitari di riferimento rispetto al territorio in cui operano i centri. Ossia, la Asl deve – a sua volta – emanare dei piani operativi che siano calibrati e tengano conto delle singole situazioni presenti. E verificare, allo stesso tempo, se le stesse strutture siano in grado di riaprire in sicurezza. Oppure no.

Il risultato però non cambia e nemmeno la situazione tra il prima ed il dopo lockdown. Nonostante alcune strutture abbiano già messo per iscritto un loro piano anti-Covid e riorganizzato spazi e attività in funzione del contrasto alla diffusione della pandemia.

Il centro diurno convenzionato Spazio Creo (che da circa un anno ha avviato le attività socio-sanitarie ad Amelia e che opera sul territorio assieme al Cirp, Centro di integrazione e riabilitazione di Porchiano, che fa capo al Comune ed è gestito dalla cooperativa Cipps) ad esempio ha strutturato uno specifico protocollo di contrasto al rischio da Covid19 con la riorganizzazione complessiva degli spazi di convivenza e la revisione delle attività e dell'operatività proprio per evitare contatti e promiscuità. Il documento è stato inviato lo scorso 17 maggio – quattro giorni dopo le linee guida della Regione – ma non ha ancora ricevuto risposte. Tra le due strutture, sembra quella di Porchiano (che accoglie circa 30 disabili) presenti le maggiori difficoltà alla riapertura. Ma in questo contesto di paralisi, e col distretto che temporeggia, nessuno riparte e le famiglie ci rimettono.

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