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Lunedì, 29 Aprile 2024
La riflessione

Passata la festa, restano i problemi: celebriamo donne, mogli, madri e figlie tutti i giorni, oltre l’8 marzo

Cosa rimane dopo appelli, messaggi, interventi e buoni propositi? Dimissioni in bianco, stipendi bassi e soffitti di cristallo che si infrangono contro un muro di ipocrisia

La sera regine, il mattino dopo “cenerentole”. Cosa resta della “festa della donna”? Cosa resta di appelli, messaggi, interventi, buoni propositi, impegni? Cosa resta di quel fiume di parole che sono state spese ieri ad ogni livello in occasione della giornata internazionale della donna?

Resta una giornata come tutte le altre. Una giornata in cui a centinaia potrebbero avere firmato quel foglio di dimissioni in bianco consegnato al momento dell’assunzione che minacciava come una ghigliottina la possibile gravidanza. Perché una donna su cinque – come ha ricordato ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – lascia “spontaneamente” il proprio posto di lavoro entro i due anni del primo figlio.

Resta una busta paga decisamente più bassa rispetto al collega “maschio” impiegato nella stessa mansione. I numeri? Eccoli, raccolti da un recente approfondimento curato da Agenzia Umbria Ricerche:

Nel 2020 il reddito da lavoro medio delle donne, pari a 16.590 euro, è inferiore del 27% rispetto a quello degli uomini (22.721 euro). A questo svantaggio di genere si aggiunge una penalizzazione dovuta al contesto territoriale: tale reddito risulta più basso del 7,5% rispetto a quello femminile nazionale e del 12% rispetto a quello delle lavoratrici del Centro-Nord (con valori rispettivamente pari a 17.929 e 18.850 euro).
La distanza complessiva tra i redditi femminili e maschili in Umbria si propone per tutte le posizioni lavorative, seppure con diversa intensità; è massima tra le collaborazioni e le attività professionali ma di particolare rilievo, per l’importanza numerica che sottende, è il -32,7% riscontrato in corrispondenza dei dipendenti privati. Degno di nota è pure il gap del -24,7% nel lavoro pubblico.
Anche il divario tra le donne umbre e quelle delle altre regioni è massimo tra le collaboratrici e le professioniste e scarti sostanziali si riscontrano altresì nel lavoro dipendente privato (-12,3% e -19,0% nei confronti di Italia e centro-nord rispettivamente). Invece le dipendenti pubbliche umbre hanno stipendi un po’ superiori a quelli delle lavoratrici italiane e centro-settentrionali.

Restano i segni sulla pelle di quell’amore tossico che non trova altra via che la violenza. Restano quei silenzi strozzati dentro a denunce che non ce la fanno ad uscire dalla porta di casa. Abusi che non si consumano in qualche malfamato sobborgo di una delle capitali mondiali della violenza, ma al riparo di vialetti rassicuranti, pianerottoli confortanti e case curate nella tranquilla provincia. A Terni “il numero di iscrizioni per violenze sulle donne erano 43 – scriveva qualche settimana fa in una nota stampa il procuratore della Repubblica Alberto Liguori - mentre dal 2 luglio 2021 al 26 gennaio 2022 ne sono state già iscritte 133”. Le denunce, quasi una al giorno, sono insomma triplicate e per tirare le somme mancano ancora altri cinque mesi.

Restano i fiumi di parole che si infrangono contro un soffitto di cristallo, senza però mandarlo in pezzi ma anzi rafforzandolo. Quasi come fosse sufficiente una mimosa all’anno per mandare in soffitta il problema. I problemi.

La retorica di un giorno lasci spazio piuttosto ad azioni concrete che diano dignità alla diversità, che esaltino le peculiarità dell’essere donna, le sue enormi potenzialità, le sue straordinarie caratteristiche. Che valorizzino la fatica che ogni giorno viene fatta soltanto per esistere e per arrivare a questo giorno che tutti celebrano e ricordano. Scordandosi poi di tutti gli altri.

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