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Cronaca Arrone

Maxi furto di gioielli, bottino da 150mila euro. Ma il ladro viene beccato per colpa del cellulare

Ha seguito il rappresentante di preziosi per giorni fino a quando non ha messo a segno il colpo mentre l’uomo era a pranzo al ristorante. Ecco cosa è successo

L’indagine è cominciata con la segnalazione di tre persone “sospette” all’esterno di una gioielleria. Arrivano i poliziotti, chiedono i documenti e poi perquisiscono la macchina. E trovano un telefono cellulare. Che risulterà cruciale.

La recente sentenza della quinta sezione penale della Corte di cassazione scrive la parola fine su un maxi furto di gioielli che venne commesso il 17 maggio del 2006 ad Arrone e per il quale si erano già pronunciati il tribunale di Terni e la corte d’appello di Perugia, con due sentenze di condanna nei confronti di uno dei responsabili di quel furto.

Romano, classe 1946 e con una serie di precedenti alle spalle, secondo le indagini ricostruite nella sentenza della Suprema corte, l’uomo va collocato sulla scena del crimine proprio in conseguenza delle tracce lasciate dalle celle telefoniche agganciate dal telefono cellulare ritrovato nella sua auto poco più di un mese dopo quel furto.

Gli investigatori - partiti dall’episodio in cui, a seguito di segnalazione al 113 che indicava la presenza di tre individui sospetti nei pressi di un’oreficeria all’interno della quale un rappresentante di preziosi stava mostrando il campionario, si era rinvenuta la presenza dell’uomo, già coinvolto in indagini per furti ai danni di orafi e con precedenti per furti ai danni di oreficerie – erano poi giunti a ricollegare il furto di preziosi commesso ad Arrone alla stessa persona. “Attraverso le utenze cellulari rinvenute all’interno della sua autovettura”, gli investigatori “erano riusciti a ricostruire che gli spostamenti effettuati” dall’uomo nel giorno del furto “erano compatibili con il percorso” seguito dal rappresentante di gioielli che “in quella stessa giornata, prima di subire il furto di due borse contenenti gioielli per un valore di circa 150.000 euro, custodite all’interno del portabagagli della sua autovettura, aveva fatto visita a diverse gioiellerie a Terni e Narni Scalo, per poi fermarsi per la pausa pranzo ad Arrone, dove era stato derubato”.

Le indagini hanno inoltre ricostruito che l’utenza in uso alla persona poi condannata, “dopo il furto, era stata segnalata nella zona di Roma, ovvero nell’area in cui si trovava all’epoca il domicilio dell’imputato, e che nei giorni antecedenti al furto” quella stessa utenza “era stata anche segnalata proprio ad Arezzo” dove il rappresentante “si riforniva di gioielli”. Tracce che dunque dimostrerebbero come il ladro abbia seguito in tutti i suoi spostamenti il rappresentante, fino ad entrare in azione nel momento più propizio.

“Lo stesso imputato – scrivono ancora i giudici di Cassazione - in primo grado, non aveva smentito che tale utenza cellulare, intestata, al pari delle altre due rinvenute, a un soggetto sudamericano risultato sconosciuto, si trovasse nella sua disponibilità, tant’è che il telefono veniva a lui restituito all’esito del dibattimento. Dai tabulati era anche emerso che “tali utenze avevano avuto contatti solo tra loro e tale circostanza aveva indotto” gli investigatori “a ritenere che si trattasse dei telefoni utilizzati in occasione degli spostamenti e dei contati finalizzati alla commissione dei furti”.

Per questo la Corte di cassazione ha concluso che “deve ritersi provato che il possessore di quell’apparecchio, e quindi l’imputato che lo utilizzava, si trovasse in Arrone proprio nel momento in cui fu commesso il furto - intorno alle 13.39 - dopo avere seguito per l’intera mattinata gli spostamenti” del rappresentante “che si era recato presso oreficerie, dapprima a Terni e poi a Narni scalo (e ciò, senza che fosse emersa una qualche giustificazione in ordine alla presenza dell’imputato - di provenienza romana - nella zona di Narni o in Arrone), per poi allontanarsi intorno alle 13.52 in direzione di Roma”.

Le sentenze ricostruiscono nel dettaglio che “alle 13.52 - ovvero in orario compatibile con la fase successiva al furto - il cellulare agganciava la cella della Romita e alle 14.26 la cella di Ponzano Romano”. Negli atti si evidenzia che “nella città di Terni l’utenza aveva agganciato proprio le celle compatibili con le vie dove erano situate le gioiellerie visitate dal rappresentante ed, infine, intorno alle 12.45 la cella di Maratta, via Pallotta, compatibile con il successivo spostamento in direzione Narni scalo” dove lo stesso rappresentante si era recato “prima di effettuare la sosta al ristorante di Arrone”

La perfetta coincidenza degli spostamenti – è la conclusione dei giudici di Cassazione - consentiva, quindi, di affermare che l’imputato quel giorno aveva seguito” il rappresentante “fino alla sosta ad Arrone in cui avveniva il furto, per poi allontanarsi verso la sua città di provenienza proprio in orario compatibile con la fase successiva alla sottrazione dei gioielli”.

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