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Evasione fiscale, “furbetto” delle tasse scoperto grazie all’auto di lusso

Professionista ternano finisce sotto la lente dell’Agenzia delle entrate. La “stangata” arriva dopo l’accertamento della proprietà di una Bmw, la sentenza: ne era l’intestatario e ne aveva sostenuto le spese di acquisto e manutenzione

Bmw. Tre lettere che per qualcuno sono un sogno (spesso inarrivabile) e per altri si sono invece trasformate in un incubo. Ne sa qualcosa un professionista ternano, oggetto di un accertamento dell’Agenzia delle entrate e che è finito in un vortice giudiziario durato anni.

Le prime verifiche delle Entrate vanno a spulciare la dichiarazione dei redditi del 2007. E scoprono una differenza di poco più di ventimila euro tra quanto dichiarato dal professionista e quanto accertato dagli uffici. Lo stesso copione si ripete per i redditi dei dodici mesi successivi. Tra la dichiarazione dei redditi dell’uomo e gli accertamenti del Fisco “ballano” altri 30mila euro.   

“Tra gli indici di capacità contributiva utilizzati dall’ufficio ai fini della determinazione sintetica del maggior reddito – scrivono oggi i giudici della quinta sezione civile della Corte di cassazione - vi era il possesso di una autovettura Bmw”.

Contro gli avvisi di accertamento delle Entrate, il professionista presenta ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Terni, che lo accoglieva. E siamo nel 2013.

L’Agenzia delle entrate propone appello, accolto dalla Commissione tributaria regionale dell’Umbria con sentenza numero 241 del 24 aprile 2015. Contro la sentenza, il professionista fa ricorso di fronte alla Corte di cassazione che lo giudica “inammissibile”, accogliendo le motivazioni del giudice di appello che ha “ritenuto certa la disponibilità della autovettura Bmw in capo al contribuente per il fatto che egli ne era pacificamente l’intestatario e ne aveva sostenuto le spese di acquisto e di manutenzione”, rilevando ancora che “i rimborsi chilometrici riconosciuti a suo favore” dall’azienda di cui era amministratore, “in ragione dell’uso della autovettura propria per fini aziendali, erano già stati considerati dall’ufficio che aveva ridotto il maggior reddito accertato per una somma corrispondente ai rimborsi percepiti, ed aveva già riconosciuto una riduzione percentuale del reddito, desumibile dal possesso dell’autovettura, in ragione dell’uso anche aziendale dell’autoveicolo”.

Niente da fare, insomma. E anzi, al professionista toccherà rifondere anche le spese legali all’Agenzia delle entrate per una somma complessiva di quattromila euro.

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