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Cronaca

Sveglia all’alba e cresta sul bottino, ecco la giornata dei truffatori di vecchietti

Nuovi dettagli sull’operazione “Mai peggio”, così la gang sceglieva i bersagli da colpire. Le “rivendicazioni” dei gregari contro il capo. E adesso si segue la pista dei ricettatori

La vita del truffatore non è per niente facile. Sveglia all’alba, centinaia di chilometri da percorrere prima di arriva sul luogo di “lavoro”. E nelle orecchie il tintinnio minaccioso delle manette. Che spesso, grazie al fiuto degli investigatori, riescono a scattare.

Il “cartellino” all’alba

La “giornata tipo” del truffatore di vecchietti cominciava all’alba. Ricostruire il modus operandi della gang sgominata la scorsa settimana dai carabinieri del comando provinciale di Terni è possibile grazia a nuovi dettagli che emergono dalle carte dell’inchiesta. Dal quartier generale di Napoli – dove i truffatori sono stati attenti a non commettere colpi, per non agevolare le indagini degli inquirenti – gli “esattori” si spostavano in varie città del centro Italia. La partenza avveniva solitamente intorno alle 4.30/5 del mattino, a seconda della distanza da percorrere per giungere a destinazione. Si spostavano soprattutto in treno oppure con auto prese a noleggio grazie alla complicità di una società compiacente, utilizzando documenti intestati a prestanome, per lo più stranieri (molto spesso pakistani).

I contatti

Le comunicazioni fra i capi della banda e gli operativi sul territorio avvenivano attraverso telefoni cellulari anche questi intestati a prestanome, per lo più stranieri. Le schede sim venivano recuperate nel vastissimo mare del mercato nero, così come i telefoni cellulari utilizzati sia per parlare fra di loro che per effettuare le telefonate a casa delle vittime. In questo caso, venivano reperiti vecchi cellulari oggetto di furto o “ripuliti” con codici imei (ossia i numeri seriali che tracciano quel telefono) spesso taroccati. Questo ha reso per lunghi mesi il lavoro degli investigatori particolarmente complesso, perché ricostruire il puzzle di chi effettuava le conversazioni e con quali strumenti è stato particolarmente complicato.

I bersagli

Una volta nelle città di destinazione, gli esattori sceglievano il quartiere in cui colpire. La selezione avveniva sulla base dell’impressione che la zona dava ai truffatori: villette a schiera, quartieri ordinati e belle case erano “spie” che la zona poteva essere ricca. Altro elemento che veniva tenuto in considerazione era legato alla presenza – o meno – di sistemi di videosorveglianza. Se non c’erano telecamere, tanto meglio. Se c’erano, i truffatori stavano attenti a non passarci sotto oppure a camuffarsi per evitare di farsi riconoscere. Scelta la via, questa veniva comunicata al telefonista che, sfogliando su internet siti come “pagine bianche” o “in elenco” cominciavano a tempestare di telefona i numeri fissi. A seconda di chi rispondeva, si tendeva la trappola. Il telefonista si fingeva a volte maresciallo dei carabinieri, altre volte un avvocato. E alla vittima – usando quella che gli investigatori hanno definito “teatralità partenopea” – raccontava che il figlio o la figlia avevano provocato un incidente stradale e che la loro situazione era così grave che soltanto il pagamento di una “cauzione” avrebbe evitato l’arresto. Si sceglievano i numeri fissi perché, solitamente, di mattina in casa ci sono persone anziane. Tant’è vero che le truffe venivano tentate o messe a segno dal lunedì al venerdì. Sabato, riposo.

L’incasso

Se la vittima abboccava, nel giro di una manciata di minuti arrivava l’esattore che si faceva consegnare dal malcapitato denaro contante, gioielli, oggetti preziosi, opere d’arte. Insomma, tutto quello che potesse servire per arrivare alla cifra necessaria per la cauzione. È successo che i malviventi si siano fatti consegnare le fedi nuziali o che l’anziana vittima, presa da un profondo stato di agitazione non ricordasse la combinazione della cassaforte, poi scassinata dalla stessa vittima per recuperare i gioielli. È successo ancora che i truffatori abbiano pesato l’oro di fronte alle vittime, magari fingendosi anche comprensivi se il bottino – che in un caso è arrivato addirittura a 30mila euro – non copriva tutte le spese.

La fuga. E la cresta

Messi in tasca soldi e oro, l’esattore se ne andava. O verso un altro colpo oppure, se a fine giornata, verso la base della gang. Prima di spartire il bottino a volte gli stessi esattori provvedevano a sostituire gli oggetti preziosi con della bigiotteria, intascando gli originali. Oppure, lamentando che la spartizione era poco equa, dicevano ai capi che il colpo non era andato così bene, soltanto dopo avere sgraffignato qualcosa. Insomma, si truffavano tra di loro. Un atteggiamento che aveva però spinto i capi a prendere delle contromisure: a volte, dopo la conclusione del colpo, il finto maresciallo o l’avvocato fasullo, richiamavano le vittime per farsi raccontare in maniera dettagliata cosa avevano consegnato agli esattori. Così da avere la controprova una volta sparpagliato il bottino sul tavolo del quartier generale.

La pista dei ricettatori

Basta aprire la sezione del sito dei carabinieri dedicata agli oggetti ritrovati, per scoprire un immenso elenco di monili, preziosi, catenine, anelli e chissà quant’altro. La specifica è sempre la stessa: oggetti recuperati presso un ricettatore. I carabinieri di Terni stimano che tra truffe tentate e riuscite, la banda abbia messo a segno 300 colpi per un giro d’affari complessivo di 400mila euro. Molta merce è finita nel circuito della ricettazione, soprattutto nella città di Napoli. UN altro filone investigativo da seguire.         

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