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Economia

C’era una volta il falegname: in dieci anni ha chiuso i battenti un artigiano al giorno

Gli effetti della crisi in Umbria e a Terni: le attività più colpite e quelle che invece riescono a resistere. Tutti i dati

Oltre 3.700 artigiani umbri si sono persi nel lungo tunnel della crisi che ha colpito il Paese negli ultimi dieci anni. I numeri brutali dicono che dal 2009 al 2018, in Umbria, ha chiuso i battenti una attività al giorno. E solo nel primo semestre 2019, la differenza fra iscrizioni e cessazioni fa segnare un dato ancora fortemente negativo visto che in Umbria il saldo della “natimortalità” delle imprese artigiane dice -119.

C’erano una volta il falegname, l’idraulico, l’arrotino o il calzolaio. Ci sono ancora, ma chi resiste deve fare i conti con un volume d’affari decisamente ridotto e con un carico fiscale che spaventerebbe anche il più eroico degli imprenditori. Il risultato? Una “strage” dei piccoli.

L’emorragia delle imprese artigiane che “dura ormai da un pezzo” è stata fotografata dall’Associazione artigiani e piccole imprese Cgia di Mestre. Se nell’ultimo anno (2018 su 2017) lo stock complessivo presente in Italia è sceso di oltre 16.300 unità (-1,2 per cento), negli ultimi 10 anni, invece, la contrazione è stata pesantissima: -165.500 attività (-11,3 per cento). “Una caduta – dice la Cgia - che non ha registrato soluzioni di continuità in tutto l’arco temporale analizzato (2018-2009). Al 31 dicembre scorso, invece, il numero totale delle imprese artigiane attive in Italia si è attestato poco sopra 1.300.000 unità. Di queste, il 37,7 per cento nell’edilizia, il 33,2 per cento nei servizi, il 22,9 per cento opera nel settore produttivo e il 6,2 per cento nei trasporti”.

Secondo il dossier, a livello territoriale è il Mezzogiorno la macro area dove la caduta è stata maggiore. Tra il 2009 e il 2018 in Sardegna la diminuzione del numero di imprese artigiane attive è stata del 18 per cento (-7.664). Seguono l’Abruzzo con una contrazione del 17,2 per cento (-6.220), l’Umbria, che comunque è riconducibile alla ripartizione geografica del Centro, con - 15,3 per cento (-3.733), la Basilicata con il 15,1 per cento (-1.808) e la Sicilia, sempre con il -15,1 per cento, che ha perso 12.747 attività. Nell’ultimo anno, invece, la regione meno virtuosa d’Italia è stata la Basilicata con una diminuzione dello stock dell’1,9 per cento.

Il settore artigiano più colpito dalla crisi è stato l’autotrasporto che negli ultimi 10 anni ha perso 22.847 imprese (-22,2 per cento). Seguono le attività manifatturiere con una riduzione pari a 58.027 unità (- 16,3 per cento) e l’edilizia che ha visto crollare il numero delle imprese di 94.330 unità (-16,2 per cento). Sono in forte aumento, invece, imprese di pulizia, giardinaggio e servizi alle imprese (+43,2 per cento), attività cinematografiche e produzione software (+24,6 per cento) e magazzinaggio e corrieri (+12,3 per cento).

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