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Lunedì, 29 Aprile 2024
Economia

Più pensioni che stipendi, il futuro di Terni è a rischio: i numeri del declino

Oltre centomila assegni di quiescenza e poco più di 83mila buste paga: l’indice di vecchiaia mette in crisi la città dell’acciaio. E le prospettive per i prossimi anni tendono anche a peggiorare

“Un risultato preoccupante che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti provocati in questi ultimi decenni da tre fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, l’invecchiamento della popolazione e la presenza dei lavoratori irregolari. La combinazione di questi fattori sta riducendo progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossando la fila dei percettori di welfare”.

A dirlo è l’ufficio studi della Cgia, associazione di artigiani e piccole imprese di Mestre, che nel suo ultimo dossier ha analizzato il rapporto tra pensioni e lavoratori occupati a livello provinciale. “Se a livello nazionale il rapporto ormai è di uno a uno, nel Mezzogiorno, invece, il sorpasso è già avvenuto”, dice la Cgia nel suo rapporto, aggiungendo che “se in Italia il primo è pari a 22.772.000 e il secondo ammonta a 23.099.000, nelle regioni del sud e delle isole le pensioni pagate ai cittadini sono 7.209.000, mentre gli addetti sono 6.115.000”. E Terni e l’Umbria restituiscono numeri da profondo sud del Paese.

In particolare, Cgia – elaborando dati Inps e Istat – rileva che nel territorio provinciale di Terni le pensioni pagate ammontano a 105mila mentre gli occupati sono circa 83mila. La differenza fra assegni di quiescenza e buste paga è insomma di 22mila unità. Un dato che piazza Terni e il suo territorio in fondo alla graduatoria, a ridosso delle province del Mezzogiorno e appena sopra Perugia che restituisce un dato di 296mila pensioni e 269mila occupati (-26mila). Per il territorio regionale dell’Umbria questo significa un saldo negativo di 48mila unità (401mila pensioni e 352mila occupati).

Per avere qualche riferimento, a livello provinciale nel 2022 la realtà territoriale più virtuosa d’Italia è stata Milano (saldo dato dalla differenza tra il numero delle pensioni e gli occupati uguale a +342mila). Seguono Roma (+326mila), Brescia (+107mila), Bergamo (+90mila), Bolzano (+87mila), Verona (+86mila) e Firenze (+77mila). Male, come richiamato più sopra, i risultati delle province del Mezzogiorno. Tra tutte, solo Cagliari (+10mila) e Ragusa (+9mila), presentano un saldo positivo. Le situazioni più squilibrate, invece, riguardano Palermo (-74mila), Reggio Calabria (-85mila), Messina (-87mila), Napoli (-92mila) e Lecce (-97mila).

Incrociando questi dati con quelli del Cresme, lo scenario che emerge in relazione alla struttura demografica della popolazione e alle sue prospettive, è decisamente preoccupante.

Infatti il territorio della provincia di Terni è 95esimo in Italia su 107 province per indice di vecchiaia, 95esimo per saldo naturale negativo e 92esimo per quota di giovani sul totale della popolazione. Ma anche Perugia si colloca su valori negativi rispetto alle condizioni di partenza: 64esima per indice di vecchiaia, 56esima per quota di giovani. Nel 2021 nella Provincia di Perugia il 25,9% della popolazione ha più di 65 anni, nella provincia di Terni si sale quasi al 29%; nel 2031 le percentuali saliranno rispettivamente al 31,3% e al 33,9%; al 2041 al 36,6% e al 39,8%. La percentuale di popolazione in età di lavoro andrà dunque riducendosi in particolare nella fascia d’età della popolazione da 35 a 64 anni, che sarà pari al 34,7% della popolazione a Perugia nel 2041 e al 33,5% a Terni.

“Sono numeri che disegnano una veloce transizione demografica – dice il Cresme - che deve essere affrontata pena la tenuta del sistema economico e dei servizi del territorio”. Si tratta, insomma, di una urgenza che deve diventare una priorità nell’agenda politica locale e nazionale e spingere ad alzarsi dal divano a caccia di soluzioni efficaci per un problema concreto. Prima che sia troppo tardi.

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