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Quando Narni uscì dall’incubo: è il 77esimo anniversario della Liberazione

Il 13 giugno 1944 gli Alleati entravano da Porta Romana e Narni usciva stremata dall’occupazione nazifascista. Una storia dentro la Storia

Ogni italiano ormai conosce, chi più e chi meno, il periodo dell’occupazione nazifascista che va dall’8 settembre 1943 al 25 aprile del 1945: un periodo di terrore, di violenze gratuite, di dolorose perdite ma anche un periodo di rivalsa e di sacrificio. Donne e uomini d’Italia hanno vissuto tutto questo. E Narni non fa eccezione.

Narni ha sempre avuto una forte componente laica e socialista e ciò venne confermato quando nel 1920 i socialisti vennero eletti nell’amministrazione comunale. Un trionfo di breve durata dato che due anni dopo l’amministrazione comunale sarà costretta alle dimissioni a causa delle continue intimidazioni da parte dei fascisti.

Quando poi il fascismo diventò istituzione, le nuove élite cittadine cercarono in tutti i modi di aumentare il consenso popolare verso il nuovo regime, cosa che avvenne solo in parte: il fascismo poteva anche mostrarsi disponibile ad iniziative per i ceti meno abbienti, come assistenza e svaghi per il dopolavoro, ma, contrariamente alle aspettative, il rancore e i malumori del popolo non facevano che aumentare. Lo testimoniano le numerose scritte e volantini ritrovati dalla polizia, nel periodo 1935-38 nelle fabbriche dell’Elettrocarbonium e a Nera Montoro contro il fascismo, contro il Duce e addirittura contro i Savoia, tutti segnali inequivocabili dell’insofferenza del popolo nei confronti di un regime, che sotto una retorica di amor patrio, mostrava una realtà liberticida e vessatoria.

Poi scoppiò la guerra

Mussolini aveva un sogno: essere a capo di un impero italiano che ricalcasse i fasti e le glorie dell’antico Impero Romano, un novello Cesare che si vedeva come il padre di un nuovo Mare Nostrum per potersi sedere al tavolo delle trattative con il Führer, da pari a pari. Un sogno destinato ad infrangersi contro la dura realtà dei fatti: il Regio Esercito era strategicamente e tatticamente impreparato, i soldati combattevano demotivati e senza passione e la flotta britannica nel Mediterraneo era potente e onnipresente.

Anche Narni si ritrovò all’improvviso in guerra, con i numerosi bandi e proclami che vennero pubblicati ma che generarono ancora più caos e smarrimento. La popolazione civile venne mobilitata, con grande richiesta di manodopera e materiali per portare avanti la macchina bellica. Contemporaneamente vennero creati anche numerosi rifugi antiaerei: Narni era troppo vicina a Terni, alle sue Acciaierie e alla Fabbrica d’Armi per sperare di non essere un bersaglio dei bombardieri Alleati. Dal gennaio 1944 fino a giugno dello stesso anno, periodo che coincide con la fuga dei tedeschi verso nord, Narni subì numerose incursioni aeree in cui non furono risparmiati né lo scalo ferroviario né il centro storico.

A tutto ciò si va ad aggiungere l’armistizio

L’8 settembre 1943, una data infame che aggiunse orrori su orrori. L’iniziale euforia, scaturita dalla speranza che la guerra fosse finita, si trasformò presto in sconcerto e paura quando le autorità specificarono che l’Italia era ancora in guerra ma stavolta come cobelligerante degli Alleati.

I tedeschi, venuti a sapere del voltafaccia italiano, si mossero con una rapidità sorprendente, disarmando e arrestando numerosissimi soldati italiani, prima ancora che potessero realizzare ciò che era appena successo. A più di 800mila di loro venne offerta una scelta: essere deportati o unirsi ai tedeschi e alla Repubblica di Salò. Circa 600mila si rifiutarono di collaborare e questo voleva dire una sola cosa: campi di lavoro. Alcuni di loro non faranno mai ritorno.

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E così per l’Italia iniziò l’incubo dell’occupazione

Rastrellamenti, retate, violenze gratuite e saccheggi. Lo stesso copione ripetuto più e più volte, in tante città italiane. E Narni ebbe anch’essa il suo tributo di sangue ed orrori. Ed il peggio è che all’epoca ci si poteva anche aspettare tanta crudeltà dai tedeschi del feldmaresciallo Kesselring. Ciò che stupisce è che parte di quelle crudeltà furono compiute dagli uomini della Repubblica di Salò, italiani che attuavano le peggiori atrocità contro i loro stessi concittadini e che avrebbero macchiato indelebilmente questa pagina di storia italiana: una pagina che parla di guerra di liberazione ma che fu anche una guerra civile.

C’erano coloro che scelsero di diventare repubblichini e coloro che invece scelsero la via più difficile: quella della lotta contro l’odiato invasore e i loro collaboratori, la via dei partigiani, la via della Resistenza. Benché la Resistenza a Narni è sconosciuta ai più, non significa che essa non sia stata meno eroica o meritevole. Impossibile elencare ogni singolo membro della Resistenza narnese né i loro meriti, perché troppi e perché non è questo il luogo adatto, ma sicuramente il Battaglione Giovanni Manni e la Banda Strale, con base operativa nei monti San Pancrazio e Santa Croce, hanno lasciato il loro segno nella storia, grazie ai loro membri, provenienti da Narni ma anche dai comuni e frazioni circostanti, da estrazioni sociali differenti e da fedi politiche diverse, che hanno sacrificato se stessi, sia nel corpo che nell’anima, nella speranza di rendere l’Italia finalmente libera dalla paura, dagli orrori e dalla sottomissione.

A mezzogiorno del 13 giugno 1944, l’avanguardia dell’VIII Armata Britannica e gli anglo scozzesi del 2° Lothians and Border Horse entrarono a Narni. L’incubo era finalmente finito e i narnesi scesero in strada ad accogliere i soldati britannici, sventolando bandiere, lanciando fiori e gridando il loro giubilo: erano liberi, dal terrore, dagli orrori, dalla sottomissione ma soprattutto erano liberi di amare, di ridere, di piangere, di votare, di fare tutte quelle cose che fino a qualche giorno prima sarebbero costate loro la prigione o la fucilazione.

Ezio Cotini, della Banda Strale, morto il 24 aprile del 2007, così affermò: “Il ricordo potrebbe essere piccolo, ma l’avvenimento fu grande e noi ogni anno lo rievochiamo molto volentieri, perché fu l’inizio di una nuova era; lo rievochiamo anche perché nel tempo non vada perduto il significato di quel giorno…”.

Da non dimenticare anche la vicenda della bandiera. I soldati britannici durante la loro marcia avevano sottratto ai tedeschi in fuga un tricolore italiano e lo avevano usato per decorare uno dei loro corazzati. Nel bel mezzo di una sosta decisero di regalare quel “trofeo” alla cittadina narnese Evelina Binnella, che lo custodì per ben trentasei anni, quando poi donò quel cimelio alla sezione combattenti di Narni perché potessero conservarla. Particolarità di quella bandiera è che è stata autografata dai soldati del 2° Lothians and Border Horse, con i relativi luoghi di origine. Nel tempo si è deciso di contattare i soldati veterani che firmarono la bandiera, con i quali si è sviluppata una grande amicizia e fratellanza, in ricordo di quell’evento.

Oggi la bandiera è conservata in un piccolo spazio dedicato, al Museo Eroli di Narni, insieme ai cimeli del 2° Lothians and Border Horse e all’elenco dei soldati italiani di origine narnese che vennero internati in Germania per essersi rifiutati di collaborare con i tedeschi, due dei quali, Umberto Piantoni e Francesco Bobbi, non fecero più ritorno.

Una memoria storica tanto pesante quanto importante che Narni dovrà sempre, come il resto d’Italia, portare avanti, per imparare a non commettere mai più gli stessi errori e per ricordare che la democrazia in cui viviamo oggi ha un valore inestimabile per via del sacrificio di tutti quegli uomini e quelle donne che hanno creduto fino in fondo in quell’idea.

Per non dimenticare.

Fonte: libro “Fischia il vento…” a cura dell’Archivio Storico Comunale della Città di Narni, stampato nel giugno 2008, presso le Arti Grafiche Celori, Terni

Fotografie dalla Collezione Famiglia Ezio Cotini

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