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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Assegno unico per circa centomila famiglie umbre, ma la sfida vera è potenziare i servizi per l’infanzia

L’analisi di Odoardo Bussini per l’Agenzia Umbria Ricerche: la bassa fecondità è ormai diventato un problema sociale, per il 2021 è facile prevedere un ulteriore calo delle nascite

Le trasformazioni sociali e i mutamenti culturali legati ai processi di secolarizzazione della società europea e italiana hanno prodotto importanti cambiamenti nei comportamenti familiari. Il ritardo della transizione alla vita adulta è stato particolarmente accentuato nel nostro Paese e, di conseguenza, anche la nascita del primo figlio – l’età media al parto nel 2020 ha superato i 32 anni, il dato più alto nell’Unione europea – contribuendo ad aumentare il gap tra fecondità effettiva e desiderata.

Il notevole calo della fecondità nell’ultimo decennio è dovuto a un rallentamento della propensione a fare figli che riguarda le donne più giovani, sia italiane sia straniere. Peraltro, in una fase in cui le potenziali madri – soprattutto quelle in età tra 30 e 34 anni, dove avviene il maggior numero di nascite – sono in forte riduzione perché provengono dalle generazioni di fine anni Ottanta, caratterizzate da un primo consistente assottigliamento.

È ormai evidente che la bassa fecondità è diventata un problema sociale.

La crisi epidemica in corso suscita, inoltre, altre preoccupazioni al riguardo. La consapevolezza della sua gravità, l’estendersi della durata, il peggioramento delle condizioni economiche, l’incertezza sul dopo – anche per via dei dati negativi sull’occupazione giovanile e femminile – tendono a rinviare ancora la scelta della formazione del nucleo familiare e quindi la nascita del primo figlio, ma pure dei successivi. Le ricadute dovrebbero manifestarsi soprattutto nel corso del 2021, in cui è facile prevedere un ulteriore calo della fecondità.

In Italia finalmente sono stati accolti dal Parlamento alcuni suggerimenti avanzati dai demografi negli anni passati circa la necessità di provvedimenti organici e duraturi nel tempo per la ripresa delle nascite e per limitare le future conseguenze negative dell’invecchiamento. Un deciso mutamento di rotta nelle politiche familiari per intensificare gli investimenti in istruzione e formazione (capitale umano) e per facilitare l’inclusione dei giovani adulti nel mercato lavorativo; misure per conciliare lavoro e cura della prole, consentendo alle donne di realizzare le loro scelte professionali e di vita; abbassare i costi vivi dei figli con politiche incisive come i congedi parentali (recentemente potenziati) e con l’ampliamento dei servizi alla prima infanzia a costi ridotti, oggi sotto il target europeo e con forti differenziazioni territoriali.

In parte sono stati recepiti a livello nazionale dal Family Act, seppur in notevole ritardo rispetto ad altri Paesi europei come la Francia – dove da alcuni decenni sono in vigore misure simili che hanno consentito di mantenere la fecondità vicina al livello di rimpiazzo (2 figli per coppia) – a vari Stati del Nord Europa che hanno sempre prestato attenzione al welfare familiare, alla Germania che è riuscita a contrastare il declino delle nascite con provvedimenti adottati prima della crisi economica del 2008.

A fine marzo il Parlamento ha definitivamente approvato la legge delega che ha varato la prima misura del Family Act, l’Assegno unico e universale per i figli (Auuf). È unico, ma anche universale nel senso che è destinato a tutti i figli fino all’età di 21 anni – considerati come un bene comune per il Paese – indipendentemente dalle caratteristiche familiari e professionali dei genitori. Proprio il livello base per tutti (c’è poi la parte variabile in funzione del reddito) rende tale misura un’importante e qualificante novità culturale delle politiche familiari italiane che così si allineano a quelle di altri paesi europei.

Accanto a questi aspetti positivi emergono però delle ombre che si spera vengano al più presto fugate. L’Auuf sarebbe dovuto partire dal primo luglio ma per i tempi ristretti slitterà al 2022. Per non deludere le aspettative delle famiglie l’idea è di erogare un assegno ponte, mantenendo le detrazioni familiari esistenti fino al 31 dicembre. La legge di Bilancio del 2021 ha stanziato 6 miliardi come cifra aggiuntiva rispetto ai 14 finora spesi per il sostegno ai figli a carico, ma non sono sufficienti.

Per questo resta da sciogliere il nodo delle risorse da mettere in campo dal prossimo anno e poi a regime. Solo in questo modo e unitamente a una sollecita applicazione delle altre misure previste dal Family Act – cominciando dai servizi alla prima infanzia – sarà possibile fornire uno strumento che possa incidere positivamente sulle scelte procreative delle coppie e invertire le attuali tendenze demografiche che stanno creando profondi squilibri strutturali e un aumento delle disuguaglianze sociali.

Quando si parla di politiche familiari il contesto di riferimento non può che essere quello nazionale. È comunque importante avere informazioni anche a livello regionale.

Dall’indagine campionaria riferita al 2019, si deduce che in Umbria le coppie sono circa 214mila, di cui 124mila (il 58%) con figli. Aggiungendo il numero dei monogenitori (circa 34mila), i nuclei familiari potenzialmente interessati a beneficiare della nuova misura di sostegno sono 158mila. Dovendo considerare solamente i nuclei con prole fino all’età di 21 anni – e non disponendo ancora dei risultati dell’ultimo censimento permanente – occorre affidarsi ai dati Istat 2019 che, però, sono riferiti all’intero territorio nazionale. Si calcola che in Italia le coppie con figli fino a 21 anni siano circa il 70% del totale, mentre è assai minore l’incidenza tra i genitori soli, 47%. Applicando tali stime all’Umbria si può ipotizzare che i beneficiari dell’assegno unico potrebbero aggirarsi attorno a 86-87mila coppie e a 15-16mila monogenitori.

Altro dato interessante è la numerosità nell’ambito dei nuclei familiari, che conferma la precaria situazione della fecondità in Italia. Esaminando dapprima le coppie, emerge che quasi il 48% ha un solo discendente, poco meno del 42% due e appena più del 10% tre e più. I monogenitori con figlio unico, com’era da attendersi, rappresentano il 69% del totale, con due figli il 27% e con tre e più il 4%.

L’altro obiettivo fondamentale per la ripresa della fecondità è quello di incrementare la copertura territoriale e l’accessibilità a costi limitati dei servizi per l’infanzia. Secondo l’Istat, nell’anno 2018-2019 sono attivi in Italia 13.335 servizi per la prima infanzia per un totale di 355mila posti, di cui oltre la metà gestiti dai comuni. L’offerta complessiva comprende i tradizionali asili nido (81,5%) e le sezioni primavera (10%) – un nuovo percorso verso la scuola materna per i bambini tra i 2 e i 3 anni – oltre ai servizi integrativi (spazi gioco, centri per bimbi e genitori, prestazioni in contesto domiciliare) con una quota del 9%.

Nonostante un lieve miglioramento negli ultimi anni, la copertura dei posti rispetto ai giovanissimi fino a due anni compiuti è pari al 25,5%, ben al disotto del parametro del 33% stabilito dall’UE per poter sostenere la conciliazione tra vita familiare e lavoro. Ciò che caratterizza il nostro paese è la rilevante disomogeneità territoriale. Sia il Nord-est che il Centro si attestano appena sopra il target europeo, il Nord-ovest (quasi il 30%) non è molto lontano dall’obiettivo, mentre c’è una distanza abissale con il Mezzogiorno d’Italia (il Sud con appena il 13,3% e le Isole con il 13,8%). I costi del servizio e la scarsa diffusione in alcune aree del Paese sono le cause principali di rinuncia al nido.

Una situazione migliore si registra nel Centro Italia che ha una copertura complessiva del 33%. In tale ambito figura al primo posto l’Umbria con il 42,7% che distanzia nettamente le altre regioni anche per un maggior ricorso ai servizi gestiti dai privati. Non bisogna però adagiarsi su tali posizioni ma con un intelligente sforzo programmatico, pensando anche alle risorse del Next Generation EU, puntare a raggiungere prima possibile il 50% di copertura.

*già docente di demografia - Università degli Studi di Perugia

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