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Covid-19, tra paura di morte sociale e voglia di vita. La parola al sociologo

Il professor Raffaele Federici offre una riflessione sull’inedita fase che il mondo sta attraversando

Quella che il Covid-19 ha innescato è una condizione inedita da tutti i punti di vista e per tutte le scienze. Lo è per la medicina, in primis, così come per tutti i settori scientifici che stanno cercando di debellare un virus insidioso e sconosciuto. Ma le è anche per la società e, in generale, per le scienze sociali. E’ impossibile non riflettere sull’impatto che tale situazione sta avendo, ed avrà, sul mondo e sulla società contemporanea, una società di “fluida”, ma che deve fare i conti con condizioni e modalità di comportamento totalmente nuove, tra rischio sociale, isolamento e la necessità insita nell’uomo, ossia di vivere in quanto “animale sociale”.

Una riflessione in tal senso arriva dal professor Raffele Federici, docente di Sociologia all’Università degli studi di Perugia. Studioso del pensiero simmeliano e orteghiano, si occupa di sociologia dei processi culturali, sociologia della comunicazione, sociologia dell’arte e del paesaggio e sociologia e antropologia della salute. A Narni, si occupa del corso in Reti globali e sicurezza.

“In questa situazione – afferma Federici – possiamo cogliere dei segnali interessanti. Credo sia possibile individuarne principalmente tre, che vanno a descrivere le conseguenze e le reazioni al Covid-19. Il primo segnale riguarda il rispetto delle regole, che determina coesione sociale”. Nonostante alcuni fenomeni di disobbedienza, infatti, “la maggior parte degli italiani ha rispettato e sta rispettando le indicazioni e le prescrizioni per il contenimento della diffusione del Coronavirus, creando un sentimento condiviso".

Il secondo aspetto riguarda le istituzioni: “Nonostante la grande difficoltà – continua Federici – l’emergenza ha evidenziato come anche le realtà grandi e complesse riescano a mettere da parte lungaggini e burocrazia stringente per raggiungere un obiettivo. Un riferimento non può non andare, ad esempio, all’Università degli studi di Perugia, che ha dimostrato come non sia vero che le grandi istituzioni debbano essere per forza lente. Dai docenti è arrivata una grande risposta e in pochissime ore siamo riusciti a far partire la didattica online praticamente in tutto l’Ateneo. Non era affatto scontato”.

Il terzo aspetto, secondo Federici, è quello più filosofico: “Quando c’è paura e un sentimento così forte di morte sociale, la gente ha voglia di vita. Si innesca così la generatività sociale e biologica. In pratica, quando viene limitata la libertà individuale, come sta accedendo oggi, nelle persone scatta la voglia di ritorno alla vita, e questo sicuramente ci cambierà in maniera significativa”.

Biomedical Journal of Scientific & Technical Research - L'articolo

Il professor Federici ha approfondito tale tematica anche in un articolo che, a giorni, sarà pubblicato sulla rivista americana Biomedical Journal of Scientific & Technical Research, dove evidenzia come ci si trovi di fronte a una “realtà sociale che ha improvvisamente cambiato forma: le strade si sono svuotate, i luoghi pubblici sono chiusi, l'aria primaverile che invece di promettere la buona stagione delle giornate più calde e luminose, diventa quasi opprimente. L'incertezza diventa la pelle della realtà sociale. Tutto ciò che fino a ieri era dato per scontato diventa qualcosa di inafferrabile. Una situazione che richiede una riflessione che abbracci il senso stesso dell'idea di sviluppo della civiltà occidentale”.

Riflessione sull’idea di rischio

“In questi giorni in cui si parla molto del rischio rappresentato dalla possibilità di contrarre il virus e di sviluppare insufficienza respiratoria, si dovrebbe riflettere sull'idea di rischio, in un mondo globale e sempre più incerto – si legge nell’articolo -. L'estensione del villaggio globale accentua la permeabilità dei confini, fa sì che ogni evento obbedisca alla legge dell'effetto domino, coinvolgendo e influenzando anche realtà culturalmente e geograficamente lontane. 
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Gli atteggiamenti sociali nei confronti dei rischi devono quindi essere sempre analizzati e valutati in relazione al contesto sociale in cui si sviluppano. Un evento o un'attività ritenuta rischiosa da alcuni gruppi sociali può infatti apparire non pericolosa per altri gruppi che non hanno lo stesso sistema di credenze, poiché la decisione di rispettare, accettare o rifiutare un rischio è in gran parte costruita socialmente all'interno del gruppo a cui un attore fa riferimento.

Nel campo della precauzione e della prevenzione, le possibilità di intervento della scienza per modificare gli atteggiamenti sociali nei confronti dei rischi sono quindi inferiori a quelle della cultura, perché a livello sociale è l'esperienza comune e non la misura del rischio che stabilisce quali sono i rischi più probabili, più dannosi, qual è la loro soglia di accettabilità e come dovrebbero essere evitati. In questo senso, le istituzioni svolgono un ruolo fondamentale nella formazione e nello sviluppo degli atteggiamenti sociali nei confronti del rischio. Per comunicare razionalmente i rischi associati alla diffusione quasi pandemica del virus Covid-19 non è sufficiente utilizzare dati oggettivi o un approccio razionale, perché la percezione dei rischi è un fenomeno molto complesso che prende forma sulla base dell'esperienza e delle convinzioni delle persone. Questo porta a sottovalutare o a sopravvalutare un evento e contemporaneamente scatena reazioni non proporzionate al fenomeno”. 

Atteggiamenti sociali, isolamento ed epidemiologia

“Oggi sappiamo – continua Federici nell’articolo - che Covid-19 si è diffuso in realtà in modo relativamente rapido, che l'infettività è stata in gran parte limitata a quando gli individui erano malati e che l'infezione ha colpito soprattutto gli adulti. Ciò significa che le misure tradizionali di salute pubblica, come il rintracciamento e l'isolamento dei casi, sono misure di salute pubblica efficaci, compresa la quarantena. 
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Covid-19 è forse l'esempio più eclatante in tempi contemporanei dell'uso diffuso di misure di salute pubblica tradizionali, non mediche, per contenere un'epidemia di malattia infettiva. Queste misure possono essere suddivise in due categorie. In primo luogo, quelle che riducono i contatti tra persone contagiate, come la quarantena, le restrizioni di viaggio e l'aumento della distanza sociale. In secondo luogo, quelle che diminuiscono il contatto effettivo, la probabilità di trasmissione che dovrebbe verificarsi in caso di contatto tra persone contagiate e sensibili, attraverso l'igiene del caso e del contatto, compresi il lavaggio delle mani e l'igiene ambientale, come la disinfezione. È interessante notare che, nonostante i milioni spesi per le misure di salute pubblica riguardanti le malattie infettive, è stato investito relativamente poco per analizzare la risposta comportamentale alle epidemie e come ciò influisca sull'epidemiologia della malattia e sulle sue ripercussioni più ampie, prevalentemente socio-economiche. Chiaramente alcuni dei cambiamenti comportamentali che gli individui subiscono di fronte a un'epidemia, come la riduzione delle visite a ristoranti, cinema e sport, hanno un impatto sia economico che epidemiologico. La conoscenza di come un certo cambiamento comportamentale potrebbe influenzare il corso dell'epidemia e quale sarebbe il suo possibile impatto economico contribuirebbe a determinare l'impatto economico dell'epidemia.

Rafforzare il capitale sociale

In questo contesto, gli individui, le istituzioni, le organizzazioni e le comunità devono rafforzare il capitale sociale, che costituisce la base per la nostra difesa socio-psicologica. Il capitale sociale è una risorsa fondamentale per gli individui, e per la società nel suo complesso, per risolvere i problemi e migliorare il benessere. Il sistema sociale e il capitale sociale in una comunità rilevante per la salute consta di almeno tre elementi: struttura fisica, struttura sociale e coesione sociale. La struttura fisica di una comunità ha sia influenze dirette sulla salute attraverso l'esposizione ai rischi, sia effetti indiretti attraverso la creazione o l'abbandono di ambienti che inducono alla salute. La struttura sociale di una comunità si riflette in cose come i suoi luoghi di incontro, i meccanismi di ridistribuzione del reddito e le opportunità di scambio e interazione. Anche questo ha sia effetti diretti sulla salute, garantendo la disponibilità di prerequisiti di base per la salute, sia effetti indiretti, facilitando la soluzione di problemi collettivi o l'identità collettiva. Infine, la coesione sociale, che è il risultato del capitale sociale, è in gran parte il prodotto dell'adeguatezza della struttura fisica e sociale di una comunità. Insieme a cose come l'omogeneità culturale o sociale di una comunità, la struttura fisica e sociale può incoraggiare o scoraggiare il sostegno reciproco e la cura, l'autostima e il senso di appartenenza e l'arricchimento delle relazioni sociali. Tutte queste cose sono state dimostrate, in gran parte da scienziati sociali, di avere un'influenza sulla salute dei membri di una comunità ((Patrick, Wickizer, 1995).

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