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Lunedì, 11 Dicembre 2023
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“Di quella mattina ricordo le sirene antimissile e i boati. Ora si rischia un disastro umanitario”

Da Terni all’inferno della Terra Santa, Giovanni Scepi è funzionario dell’Unesco in Palestina: “Il clima a Gerusalemme è surreale. La mia paura è che il conflitto si allarghi con il coinvolgimento di Libano, Iran e altri stati: sarebbe una catastrofe per il Medio Oriente e, temo, per il mondo intero”

“La situazione è critica e, a meno di un cessate il fuoco immediato o della creazione di corridoi umanitari per assistere la popolazione civile, temo che il mondo sarà testimone di un disastro umanitario di proporzioni inimmaginabili”.

Nato a Terni trentanove anni fa e cresciuto a Casteltodino, Giovanni Scepi è funzionario internazionale dell’Unesco, organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la cultura e le scienze). Dopo aver lavorato per diversi ministeri in Italia, nel 2011 ha iniziato la sua carriera nell’organizzazione dell’Onu a Parigi, dove è rimasto fino al 2020, quando si è trasferito a Ramallah, in Cisgiordania.

Dove ti trovi in questo momento? Come mai sei in Medio Oriente, da quanto tempo?

“Vivo a Gerusalemme dal 2020, quando nel mezzo della pandemia, mi sono trasferito qui da Parigi dove lavoravo al quartier generale dell’Unesco. Sono il capo dell’unità cultura dell’ufficio nazionale dell’Unesco per la Palestina. Il mio ufficio si trova a Ramallah, in Cisgiordania, quindici chilometri a nord di Gerusalemme. Faccio avanti e indietro ogni giorno attraversando un checkpoint presieduto da militari israeliani che controllano l’accesso ai territori occupati palestinesi”.

Dov’eri al momento dell’attacco di Hamas ad Israele, il 7 ottobre scorso?

“Mi trovavo in casa a Gerusalemme, sono stato svegliato intorno alle 7 del mattino dalle sirene antmissile israeliane e da forti boati in lontananza. Mi sono precipitato alla televisione e connesso ad internet per capire cosa stesse succedendo e col passare dei minuti ho realizzato che si trattava di un attacco di Hamas dalla Striscia di Gaza”.

C’erano, secondo te, dei segnali che potessero far presagire quello che poi è successo?

“C’erano chiari segnali di tensione, ma non avrei mai immaginato eventi di tale portata. Ero qui durante l’escalation di maggio 2021, c’erano allora tutte le avvisaglie per un conflitto a causa della crescente tensione durante il Ramadan. Stavolta la tempistica è stata meno prevedibile anche se, dalla formazione del nuovo governo israeliano a fine dicembre 2022 ad oggi, è stato un continuo crescendo di eventi che hanno portato all’attuale conflitto: tra questi un numero crescente di incursioni dell’esercito israeliano in Cisgiordania per cosiddette operazioni militari speciali (la più importante a Jenin a luglio 2023), l’autorizzazione di migliaia di nuove unità abitative nelle colonie israeliane dei territori occupati palestinesi e, non da ultimo, le crescenti tensioni alla spianata delle moschee di Gerusalemme dove per le recenti vacanze ebraiche sono stati ammessi grandi gruppi di coloni e ebrei ultra-ortdossi in uno dei luoghi più sacri al mondo per i musulmani”.

Com’è cambiata la vita quotidiana dopo quei fatti?

“Il clima a Gerusalemme è surreale: ad esempio i tram e gli autobus continuano a funzionare regolarmente ma sono per lo più vuoti. I negozi sono per la maggior parte aperti ma con pochi clienti che generalmente fanno grandi scorte di cibo in caso di necessità. Il traffico è ancora intenso ma per strada ci sono pochissime persone a piedi. Di sera c’è una sorta di coprifuoco, le strade sono pattugliate giorno e notte da decine di macchine e moto di polizia e esercito”.

Come si svolge la tua giornata? Hai paura di rimanere in qualche modo coinvolto?

“Io lavoro da remoto dall’inizio del conflitto: non è possibile, né tanto meno sarebbe sicuro attraversare i checkpoint in questo momento. Resto sempre in casa per sicurezza e esco solamente di rado per fare la spesa. Non ho paura di rimanere direttamente coinvolto, penso che Gerusalemme sia abbastanza sicura in quanto città santa per le tre principali religioni monoteistiche. Come accaduto in passato, potrebbero esserci attentati e lupi solitari, ma non credo ci sia il pericolo di una escalation maggiore qui. I razzi sparati da Gaza sono raramente indirizzati a Gerusalemme e quei pochi che lo sono, vengono intercettati dal sistema antimissile israeliano. La mia paura è piuttosto che il conflitto si allarghi su scala regionale, con il coinvolgimento di Libano, Iran e altri Stati. Sarebbe una catastrofe per tutto il Medio Oriente e temo per il mondo intero”.

Quando pensi di poter tornare in Italia?

“Non per il momento. Come dicevo, la situazione a Gerusalemme sembra essere sotto controllo, abbastanza tranquilla. Non esiterei a tornare in caso di emergenza, ma per il momento preferisco restare qui e continuare il mio lavoro per quanto possibile”.

Ti era mai capitato di trovarti in una situazione del genere? Cosa pensi di quello che stia capitando? Puoi darci una tua riflessione?

“Non mi sono trovato mai prima in un evento di questa portata. Ero qui durante l’escalation del maggio 2021 tra Israele e Hamas, ma la natura di quel conflitto, che durò soltanto 11 giorni, era completamente diversa. Credo che in questo caso il conflitto durerà settimane, se non mesi, e le perdite civili e militari da una parte e dall’altra temo saranno migliaia. Dopo lo shock delle terribili immagini delle prime ore con la morte di tanti civili israeliani, quello che mi preoccupa ora è l’imminente catastrofe umanitaria nella Striscia di Gaza dove vivono 2,3 milioni di persone in soli 365 km quadrati. Dopo la recente evacuazione della popolazione dal nord verso il sud della Striscia e l’interruzione totale della fornitura di elettricità, acqua, cibo e benzina, la situazione è critica e, a meno di un cessate il fuoco immediato o della creazione di corridoi umanitari per assistere la popolazione civile, temo che il mondo sarà testimone di un disastro umanitario di proporzioni inimmaginabili. Spero vivamente che i Paesi occidentali e regionali, con il supporto e l’intermediazione delle Nazioni Unite, possano riuscire a mediare e identificare soluzioni adeguate di breve ma anche lungo termine”.

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