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Flavio e Gianluca, fra strumentalizzazioni e silenzi. E invece serve il coraggio di dire #nodrugs

Le parole di Saltamartini (Lega) e la cattiva coscienza della sinistra, la riflessione: “Siamo pronti a stracciarci le vesti per tutto, ma nessuna pietà per i figli di questo tempo che non ha tempo per le morali”

“Un rapper antifascista militante cresciuto nei centri sociali: ecco di chi sono le mani insanguinate di quel bastardo che ha venduto la morte a Flavio e Gianluca, i due giovanissimi ragazzi di Terni. Un cattivo maestro cresciuto nei centri sociali dell’antagonismo ternano, dove era addirittura invitato come ospite d’onore in tante serate. Così come lo è stato considerato dalla ‘cultura’ di quella sinistra che per 50 anni ha governato l’Umbria, e che per fortuna non governa più”.

Così parlò Barbara Saltamartini, commissario della Lega a Terni, suscitando indignazione anche in ambienti storicamente ostili alla sinistra, per quella che è una brutale strumentalizzazione politica di una tragedia che ha sconvolto la città e l’intero Paese.

Eppure il fatto che il venditore di morte non sia uno straniero clandestino ma un ternano doc, perfettamente integrato nel tessuto culturale della città, una riflessione politica la merita, tanto a destra quanto a sinistra.

Archiviata la becera strumentalizzazione della sua commissaria, infatti, il sindaco Leonardo Latini dovrebbe interrogarsi su cosa voglia fare in futuro per combattere questo fenomeno, considerando che finora non ha fatto proprio nulla. Da quando si è insediato, infatti, il sindaco Latini ha continuato a fingere di credere che il problema di Terni siano gli immigrati. D’altra parte, quando cinque anni fa David Raggi fu ucciso di fronte ad un bar del centro storico, del fatto che l’assassino fosse uno spacciatore non era importato niente a nessuno: tutto il dibattito pubblico aveva ruotato attorno al fatto che fosse un immigrato irregolare. Si ripeté fino allo sfinimento che quell’uomo “non doveva trovarsi qui”. Cosa facesse, invece, sembrava del tutto irrilevante.

Questa maschera di ipocrisia viene oggi strappata via dalla nuova tragedia. Se i venditori di morte sono ternanissimi e conosciuti in città, cosa intende fare il sindaco per evitare che certe tragedie si ripetano? Cacciare i comunisti? Mi dispiace ma quello è stato già fatto, quindi dovrà inventarsi qualcos’altro se vuole dimostrare di essere il primo cittadino, e non solo un megafono per la propaganda elettorale permanente di Matteo Salvini.

Al tempo stesso a sinistra, una volta finito di stracciarsi le vesti per le parole della Saltamartini, forse un esame di coscienza sarebbe opportuno.

Perché lo spacciatore “rapper antifascista militante cresciuto nei centri sociali” sfata un vecchio luogo comune cavalcato per anni dalla cultura di sinistra: e cioè che esista una droga “buona” e una droga “cattiva”: quella buona – da centro sociale, appunto - profumata, leggera e del tutto innocua, va difesa, celebrata e legalizzata. Quella cattiva, invece - quella dei ricchi, dei politicanti, dei tossici, che brucia il cervello e uccide - va semplicemente ignorata, così come tutte quelle consumate dai ragazzini, dagli acidi agli psicofarmaci. Ignorate, sia chiaro, non combattute.

Ammettiamolo senza ipocrisie: l’unico problema che la sinistra ha con la droga è che è vietata.

Perché? I motivi sono tanti: il primo è che a combattere le droghe si rischia di tirare dentro anche quelle leggere, e quindi – per non rischiare di confondere le idee – è meglio tacere. Un po’ come per l’aborto: la maggior parte degli abortisti (come la maggior parte degli antiabortisti) sostengono di essere contrari all’aborto ma favorevoli al diritto della donna di scegliere. Per non rischiare di essere ambigui, però, evitano di dire che l’aborto è una cosa orribile e che va evitata quanto più possibile.

Il secondo motivo è che combattere la cultura della droga senza risultare paternalisti e bigotti è molto difficile. E oltretutto, va in direzione contraria alla cultura post-sessantottina antirepressiva e permissivista; ad una cultura convinta che ai giovani non bisogna insegnare ma che da loro occorra solo imparare. “Noi non dobbiamo formare, dobbiamo informare” faceva dire ironicamente Nanni Moretti in Bianca al preside della scuola “Marilyn Monroe”, dove nelle aule al posto del crocifisso c’era Dino Zoff.

Come può, dunque, un padre democratico e moderno, insegnare ai suoi figli a non drogarsi?

Sono lontani i tempi delle (a volte ridicole) Pubblicità Progresso e delle campagne antidroga. Facciamo anche fatica a liberarci del vecchio stereotipo del tossico come disadattato: una persona che ha alle spalle gravi problemi sociali e deve fuggire da una realtà squallida che non gli offre opportunità; tendiamo a pensare, quindi, che sia al riparo dalle droghe chi ha una vita sana e piena di interessi, viene da una buona famiglia e ha valori saldi. Eppure questo è esattamente il ritratto di Flavio e Gianluca.

La cultura di sinistra ritiene, in definitiva, che il tossico sia uno “sfigato”. Non ha senso, quindi demonizzare le droghe, né tantomeno combattere i cattivi maestri, e anzi: a puntare il dito contro la musica “trap” si viene subito additati come bigotti, fascisti, perbenisti.

Eppure non è certo un caso se dopo gli anni del “sesso, droga & rock ‘n roll” con tutto ciò che hanno prodotto in termini di tossicodipendenza e Aids, i grandi nomi della musica anni ’80 e ’90 hanno combattuto energicamente il consumo di droghe. Fatta eccezione per Vasco Rossi (che quando è uscito era già, culturalmente, un residuato degli anni ’70, tanto che se nell’83 invocava una vita spericolata già nell’89 scriveva “Liberi, liberi, sì ma liberi da che cosa?”), da Michael Jackson agli U2, dai Coldplay a Jovanotti, da Ligabue a Bruce Springsteen, tutti gli idoli della mia generazione erano “salutisti”. Quanto lo fossero in privato non lo sappiamo, ma di certo - consapevoli di essere dei modelli – hanno cercato di dare dei messaggi in netta controtendenza rispetto a chi li aveva preceduti, facendosi profeti di impegno civile e spiritualità piuttosto che di eccessi e autodistruzione. Persino nel mondo del punk si è affermato un pensiero anticonformista: lo “straight edge” (a cui aderisce, tra gli altri, Zerocalcare) che prevede l’astinenza da tabacco, alcool, droghe e sesso occasionale.

Ora, che la censura non sia la strada migliore per affrontare la musica trap, della cui poetica nichilismo e droghe sono parte integrante, è poco ma sicuro. Ma tra il censurare e il promuovere c’è molta strada in mezzo; che viene ignorata, un po’ per ignavia e un po’ per interessi economici, visto che poi questi “trapper” non sono certo menestrelli di strada o da youtube ma personaggi bene inseriti nel mercato discografico. Piuttosto che inseguire i “gggiovani” in televisione e a Sanremo, proponendo come modelli i loro cattivi maestri, si potrebbero almeno cercare valide alternative, anche sotto il profilo artistico.

Il terzo motivo è che la sinistra attuale (quella riformista, liberale e radical-chic, non certo quella marxista) ha completamente perso di vista il concetto di giustizia, ed è ormai interessata esclusivamente ai diritti civili: la priorità, quindi, è quella di tutelare le libertà individuali. È la repressione che va scongiurata in ogni modo: e anche quello di drogarsi e di uccidersi, in fondo è un diritto. Se a una ragazzina di quindici anni va garantita la possibilità di abortire di nascosto dai genitori (di qui le feroci polemiche legate al provvedimento della giunta Tesei sull’aborto farmacologico) per quale motivo a un ragazzino di quindici anni non andrebbe garantito il diritto di drogarsi di nascosto dai genitori?

Non aspettatevi, dunque, nessuna battaglia come il “Black Lives Matter” o come il #metoo. #nodrugs non diventerà uno slogan da condividere come “Io resto a casa”, né tantomeno “Vietato l’ingresso agli spacciatori” – che da cinque anni chiediamo di scrivere sulle porte dei locali della movida – si trasformerà in un cartello da esporre sul modello del “Andrà tutto bene”. Nessuno scenderà in piazza per dire basta alle droghe.

Siamo sempre pronti a combattere ovunque il razzismo, il fascismo, l’omofobia, la transfobia, il sessismo e il maschilismo, ma non chiedeteci di combattere la droga.

Siamo pronti a stracciarci le vesti per una legge che costringe al ricovero in ospedale le donne che abortiscono, pronti a sollevarci per abbattere la statua di un giornalista che 85 anni fa ha sposato una minorenne, pronti ad indignarci per una battuta fatta dall’ultimo dei cialtroni in una trasmissione televisiva o su twitter, ma nessuna pietà, nessuna pietà per i figli di questo tempo che non ha tempo per le morali.

Beh, sapete che vi dico? Comincio, io: a costo di essere retorico e perbenista, perché Flavio e Gianluca non siano morti invano: sulla porta dell’ufficio scriverò “Vietato l’ingresso agli spacciatori” e sui social #nodrugs.

* Istituto di studi teologici e storico sociali

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