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Vent’anni di adozione in Umbria, numeri e prospettive: “Ecco perché servono operatori specializzati”

Formate quasi 700 coppie, più di 500 i bambini che hanno trovato una famiglia: “Un servizio adozioni non può e non deve dare spazio prevalentemente al pre-adozione, ma deve essere presente anche e soprattutto nel post”

In Umbria dal 2001 esistono quattro servizi adozioni: Terni, Perugia, Foligno e Città di castello. Il più grande è quello che opera nel capoluogo di regione: ha competenza territoriale su 24 comuni per una popolazione complessiva di oltre 360mila abitanti a fronte dei circa 850mila residenti in tutta la regione. Tre le operatrici che lavorano al suo interno: la dottoressa Maria Luisa Papa, psicologa e psicoterapeuta della Asl 1 dell'Umbria che da vent'anni si divide tra il servizio di neuropsichiatria infantile dell'azienda sanitaria e, appunto, il servizio adozione, e le assistenti sociali Beatrice Gosti (che è anche componente del servizio affido famigliare di Perugia) e Maria Piera Sepicacchi.

L’equipe del servizio adozioni del Comune di Perugia ha nei mesi scorsi redatto un bilancio per i primi vent'anni del servizio in Umbria, fra numeri, prospettive e criticità. “Per la nostra equipe - è spiegato nella relazione - questo bilancio assume anche una valenza particolare per l’approssimarsi della pensione di due operatori", ossia Maria Piera Sepicacchi (a cui è subentrata Cristina Faraghini ma per 15 ore settimanali) e la stessa dottoressa Papa che sarà appunto in pensione dal prossimo luglio.

Qualche numero, prima, proprio per capire la mole di lavoro che è stata portata avanti in questi anni: sono state quasi 700 le coppie che in Umbria hanno preso parte ai gruppi formativi nell’arco di tempo compreso fra il 2002 e il 2021, con 962 indagini psicosociali portate a termine e poi trasferite al tribunale per i minori di Perugia a cui spetta il compito di stabilire - o meno - l’idoneità di una coppia all’adozione. Il tribunale dei minori ha emesso 429 decreti adottivi per un numero complessivo di 523 bambini che hanno trovato una famiglia: 398 di questi provengono da adozioni internazionali e 125 da adozioni nazionali. Infine, dal 2008 ad oggi, sono stati 507 i gruppi di post adozione che hanno preso vita nei vari servizi adozioni della regione.

Dietro ai numeri c’è l’impegno degli operatori che accompagnano il percorso adottivo a cominciare dai corsi di formazione e informazione rivolti alle coppie che fanno sì che queste “possano affrontare meglio, in gruppo, le paure, i dubbi, i ripensamenti e dare avvio alla costruzione di quello spazio interiore per accogliere ciò che è difficile prevedere: l’arrivo di un figlio. Negli incontri del corso di formazione – spiega la dottoressa Papa nella relazione - affrontiamo quei temi cosiddetti sensibili come il lutto per la mancata genitorialità biologica, presente nella stragrande maggioranza in coloro che si candidano, l’idealizzazione nei confronti di un figlio tanto atteso, la supposta fantasia che il figlio adottivo possa curare le ferite di una mancata genitorialità biologica, la fantasia che diventare genitori significhi possedere un figlio da educare o da plasmare, oppure quella di potersi sentire genitori di serie B confrontati con i genitori biologici, per arrivare all’importanza di raccontare la cosiddetta verità ad un figlio adottato, riuscendo a scrivere una storia da condividere con lui, che garantisca un continuum tra il passato e il presente rappresentato dalla vita nella famiglia adottiva”.

Altra fase cruciale nel percorso adottivo è rappresentata dall’arrivo in famiglia del bambino. In questo caso, il lavoro consiste nel “sostenere la coppia genitoriale a conoscere il proprio figlio, senza farsi sopraf-fare dal fare, prendendosi il tempo necessario. Sappiamo quanto è importante questo perché, soprattutto nell’adozione internazionale, quando il bambino giunge in famiglia, è molto probabile che abbia un’età prossima all’inserimento scolastico o debba entrare direttamente nella scuola primaria. È davvero un tempo delicato quello che il bambino e i genitori vivono quando subentra un nuovo scenario, quello scolastico, ad arricchire la vita di quella famiglia adottiva”.

“Sovente accade che sia proprio l’adolescenza l’età in cui un figlio adottato torni ad interessarsi alle proprie origini e può accadere – aggiunge - che il genitore interpreti questa sua curiosità esclusivamente come una conseguenza di essere figlio adottivo. In realtà, questa curiosità è legittima e comune ad ogni figlio che, in età infantile e successivamente in età adolescenziale, si costruisce delle fantasie intorno alla struttura della propria famiglia, fino a formare una sorta di mito delle proprie origini, a mo’ di romanzo familiare. Fu Freud a scrivere: Diventare grandi come mamma e papà è il desiderio più intenso e più gravido di conseguenze di questi anni di infanzia. Con questa frase, Freud intendeva che ogni essere umano ha la necessità di progredire attraverso l’emancipazione dall’autorità dei genitori. Pertanto, ogni figlio si troverà a confrontare i propri genitori e il loro modo di essere con i genitori per esempio degli amici o dei compagni di scuola, cominciando a dubitare dell’unicità che ha attribuito ai propri genitori. Nel caso dell’adozione, questo confronto viene anche fatto con la coppia dei genitori biologici la cui assenza può essere rimpianta. La coppia dei genitori biologici lontani e idealizzati può opporsi a quella dei genitori adottivi presenti e concreti ritenuti coloro che impongono limiti e confini”.

“Allora può accadere che un genitore adottivo possa arrivare a sentirsi tradito e vivere l’opposizione del figlio che dice, in un momento di conflittualità, tu non sei mio padre o tu non sei mia madre come frutto dell’assenza del legame di sangue. Allora quel genitore faticherà ad accogliere la ribellione del figlio come necessario passaggio di crescita. Questo è un altro periodo significativo in cui è fondamentale offrire sostegno alla famiglia adottiva, sia affrontando la crisi con quella specifica famiglia, sia fornendole la possibilità di partecipare ad un gruppo di genitori, un gruppo costituito sulla base della comune età del figlio, condotto dallo psicologo e dall’assistente sociale”.

Per questo, il bilancio dell’attività e la relazione che ne è diretta conseguenza hanno insistito molto sul punto del post-adozione: “L’adozione – è stato ribadito più volte – si costruisce vivendola”.

“Il nostro lavoro, nel corso di questi anni, ha subito dei cambiamenti che ci hanno condotto a riconoscere come un servizio adozioni non può e non deve dare spazio prevalentemente al pre-adozione, ma deve essere presente anche e soprattutto nel post adozione – ha sottolineato la dottoressa Papa - affiancando le famiglie che necessitano di questo accompagnamento che deve prolungarsi ben oltre il primo periodo, come enunciano le leggi sull’adozione”.

Alla luce di questo, quasi come “una sorta di passaggio di testimone a chi ci sostituirà”, dal servizio adozioni si ribadisce “l’importanza di operatori specializzati in materia di adozione, la possibilità che questi abbiano una adeguata quantità di ore di lavoro per svolgere il proprio intervento in maniera continuativa e per questo efficace, la necessità delle famiglie adottive di essere accompagnate nel loro costituirsi anche oltre il primo anno di adozione” e ancora “i cambiamenti di condizione iniziale di un bambino al momento dell’adozione, la particolarità accennata dei casi di affido” sono tutti spunti “per riflettere sulla necessità che un servizio adozioni continui ad operare per raggiungere in futuro un nuovo e importante compleanno”.

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