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Discriminato dai compagni di classe perché disabile, la mamma in lacrime: “Una cosa orrenda”

Succede in un istituto superiore di Terni, il ragazzo non è stato coinvolto nella festa dei cento giorni agli esami assieme ad altri due studenti. “Denuncio questo episodio perché voglio che non succeda a nessun altro”

Questa è una storia triste. Che fa a pugni con la narrazione stantia dell’andrà tutto bene. E che conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che certi buchi neri nel cuore non sono lontani da noi. Che tante “guerre”, tante violenze, sono più vicine di quanto non si possa immaginare.

Questa è una storia triste che viene raccontata, denunciata, non per puntare il dito contro qualcuno. “Ma perché voglio che non succeda a nessun altro”. A parlare è la mamma dell’involontario protagonista. Nomi e riferimenti li lasceremo all’anonimato, perché non è tanto importante il “chi” ma “cosa” è successo.

L’episodio si è verificato in un istituto superiore di Terni, classe quinta. I compagni si organizzano per la festa dei cento giorni agli esami: il programma prevede un pranzo insieme e poi una gita a Piediluco. Dalla lista degli invitati mancano però tre nomi. E non perché questi ragazzi non possano andare, anzi. Uno viene seguito dai professori di sostegno, un altro deve fare i conti con la disabilità, la terza – una ragazza – è alle prese con una grave malattia.

Problemi, che però non avrebbero impedito di vivere un giorno di festa e, soprattutto, di fare parte di questa piccola “società” che è la classe. In modo particolare, quando ci si avvicina ad una data importante come quella degli esami di maturità.

“Avevamo anche spostato una risonanza per permettere a mio figlio di partecipare”. Però nessuno lo ha invitato. Nessuno ha detto a lui e agli due ragazzi “diversi” che oggi sarebbe stato un giorno speciale. Fino a sabato sera. Quando la mamma riceve una telefonata dall’insegnante di sostegno che le dice quanto sta accadendo.

Il racconto si infittisce e le parole scorrono mentre la voce della donna viene rotta dal pianto. “Siamo fieri, orgogliosi di lui. Ha combattuto tanto. È autosufficiente, indipendente. Viviamo in periferia, lui non ha mai perso l’autobus. Va bene a scuola e fa di tutto per essere accettato”. Ma evidentemente, non basta. “Quando ha compiuto 18 anni – racconta ancora la donna – ha invitato i suoi compagni, ma nessuno è venuto perché dicevano di non avere tempo. E così, abbiamo festeggiato in famiglia”.    

Questa mattina, lui e gli altri due ragazzi si sono presentati regolarmente a scuola. E sono pronti a vivere i cento giorni come tutti gli altri. Sono pronti a superare l’esame della discriminazione.

“Quella che è successa è una cosa orrenda. Ma non cerco punizioni, non voglio colpevoli. A nostro figlio non abbiamo mai insegnato l’odio. Vorrei però rivolgermi ai genitori degli altri ragazzi: come pensano di muovere l’anima dei loro figli? E vorrei che questi ragazzi avessero un po’ di sensibilità perché sono giovani e stanno cominciando ad affrontare la vita. Soprattutto, vorrei che quanto accaduto a mio figlio, non succeda più a nessun altro”.

Anche noi.

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