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Tribunale a rischio, l’alternativa che può “salvare” il palazzaccio di Terni

La proposta elaborata dal Consiglio nazionale forense: per le procedure fallimentari si incarichi un pool di due magistrati togati e alcuni esperti. Appello ai parlamentari umbri

Il conto alla rovescia che potrebbe innescare la rivoluzione al tribunale di Terni finisce il 14 novembre 2018. Ma in attesa che il Governo decida o meno se esercitare le deleghe che gli vengono attribuite dalla riforma del diritto fallimentare, nel mondo togato qualcosa si muove. Soprattutto per evitare che una decisione dall’alto, piombi come una tagliola sul palazzaccio ternano.

Percorso a ostacoli

I rischi a cui potrebbe andare incontro il tribunale di corso del Popolo sono presto detti (qui un approfondimento). La riforma delle procedure di insolvenza prevede che per una determinata fascia di utenti – quella più corposa – sottoposti a procedura di insolvenza, il governo indichi con proprio decreto delle strutture che si occupino soltanto di questo settore. E che lo facciano con un gruppo di magistrati togati compreso tra sei ed otto. Questo significa che, stante l’attuale organico di Terni – composto da venti magistrati compreso il presidente – la competenza potrebbe passare direttamente a Perugia. O almeno, questo è il percorso tracciato dalla commissione Rordorf, incaricata di declinare l’attuazione della legge, e inserito in un dossier preparato dall’ex ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ora in attesa di nuove decisioni.

La scappatoia

“Occorre anzitutto bloccare la riforma”, dice Domenico Benedetti Valentini, avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia e Pdl, che nella sua carriera politica ha avuto a che fare con le riforme giudiziarie che hanno attraversato la storia italiana. “E questo può essere fatto accogliendo la proposta che è stata avanzata dal Consiglio nazionale forense”. Gli avvocati, in buona sostanza, suggeriscono di introdurre per il diritto fallimentare lo stesso tipo di strumento che si usa, ad esempio, per le controversie agrarie. Che vengono gestite da un pool di due magistrati togati, affiancati da due o tre tecnici esperti della materia che si sta trattando. Questo ristabilirebbe un equilibrio tale da evitare non solo che i tribunali più piccoli vengano spogliati delle loro competenze. Ma che questo si rifletta poi sull’assetto giudiziario territoriale. “Se la riforma trovasse compimento per come è scritta – spiega Benedetti Valentini – questo assesterebbe un colpo ai garretti della piccola corte d’appello di Perugia”. Ovvero: depotenziando Terni (e Spoleto, che con 14 magistrati in organico subirebbe lo stesso trattamento) si rischierebbe di fiaccare l’Umbria intera, mettendo in pericolo il senso stesso dell’esistenza di una corte d’appello con tre “mini” tribunali. Fermare questa macchina potrebbe invece aprire ad una nuova stagione di riflessione. Che, nella migliore delle ipotesi, potrebbe condurre alla “rivisitazione della geografia giudiziaria – dice Benedetti Valentini, accennando alle possibili aperture manifestate nel contratto di governo pentaleghista – e alla diffusione di una filosofia favorevole al reticolato diffuso e alla prossimità della giustizia”. Ossia ad un “riequilibrio del principio territoriale”. Questo però può avvenire soltanto se “i parlamentari umbri – è l’appello di Benedetti Valentini – intervengono perché si blocchi la riforma”. Altrimenti, il conto alla rovescia rischia di essere inesorabile.

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