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“Teatro Verdi, il blocco del cantiere porta gravissimi danni alla città: Terni ha diritto di riavere il proprio tempio della cultura”

L’intervento dell’assessore regionale Enrico Melasecche: “È stato uno dei primi problemi che ho affrontato e sono stato ferocemente attaccato. Ci saranno responsabilità patrimoniali pesantissime in caso di perdita dei finanziamenti e di revoca degli appalti”

La vicenda del Teatro Verdi ha dell’incredibile. Chiuse i battenti verso la fine del primo decennio del secolo per l’incapacità della sinistra, allora al governo della città, di progettare il futuro della cultura a Terni, salvo poi tentare di gettare il fumo negli occhi candidandola a Città della cultura, senza neanche il proprio teatro serrato da anni. È stato uno dei primi problemi che ho affrontato quale assessore ai lavori pubblici e urbanistica della giunta Latini in un rapporto dialettico, mai subalterno, rispetto alla soprintendenza di allora, ma parimenti equidistante da alcune frange di nostalgici dell’800 a tutti i costi. Feci tutti i tentativi possibili per far dialogare l’allora soprintendente Marica Mercalli con Vittorio Sgarbi, che andai a trovare a Roma, per definire le ragioni dei rispettivi contendere, ma non ci fu verso. Le carte parlano chiarissimo.

Il doppio vincolo imposto dalla soprintendenza, quello ottocentesco sul pronao e il foyer, da sempre rispettato, ma anche quello più recente sulla struttura del cinema teatro, così come fu ricostruito dopo i bombardamenti in base alle esigenze di quegli anni, impedivano la ricostruzione del vecchio teatro polettiano. Non c’era la minima possibilità di ricalcare le linee architettoniche di metà ‘800, con stucchi di polistirolo e affreschi copiati da quelli del Bruschi. Feci di tutto per verificare la possibilità di tornare all’ipotesi originale, ma non ci fu nulla da fare. Tentai con prefetti, assessori regionali, lo stesso sindaco Latini che mi seguì nel confronto a Perugia in soprintendenza tentò di sostenere, senza alcuna minima possibilità, il perseguimento di quell’obiettivo. Allora si pose una scelta: o andare ad un bando internazionale di idee, aprendo lo scenario al meglio di tutti le migliori menti che popolano il variegato mondo dell’architettura contemporanea internazionale, sollecitando professionisti che avessero voglia e capacità di confrontarsi alla luce del sole per aggiudicarsi l’incarico di progettazione, oppure il nulla, come sostenevano pervicacemente alcuni negazionisti ideologizzati, sospinti con notevole prepotenza da alcuni architetti locali, che ambivano ad ottenere l’incarico senza gara, pratica vietata da molti anni dalla legge.

Non ebbi alcun dubbio. L’unica strada per restituire alla cultura della città il proprio luogo sacro per antonomasia era prendere il coraggio a quattro mani e fare di necessità virtù, puntando al meglio e al massimo. Sono stato notoriamente quanto ferocemente attaccato, io e non altri, né il sindaco, né l’allora assessore alla cultura, per quella decisione, il tutto per ragioni evidenti, ma l’interesse generale e soprattutto la constatazione di quanto Terni avesse in quindici anni perso, non solo come fruibilità di quella struttura indispensabile per qualsiasi rappresentazione di livello ma anche e soprattutto in termini di coesione sociale della comunità cittadina attorno ad un simbolo della propria storia e della propria identità, mi spinse ad una fermezza che oggi mi dà ampiamente ragione.

Ho seguito e difeso anche da assessore regionale i molti progetti che avevo lasciato come la decisione di recedere con coraggio dagli errori posti in essere dalla sinistra nei nove anni della sindacatura precedente che aveva portato addirittura ad un progetto di consolidamento del teatro senza neanche avere prima una minima idea di quello architettonico definitivo, ignorando peraltro il secondo vincolo imposto da soprintendenza, ministero dei beni culturali e commissione tecnico scientifica.

Perché sono oggi preoccupato? Per la dichiarazione del blocco del cantiere ripetuta più volte prima e dopo la campagna elettorale, perché ogni mese di ritardo potrebbe essere esiziale per la conclusione dell’opera. Le procedure, estremamente complesse, sono state portate avanti sulla linea portata in delibera in giunta dal sottoscritto nel 2019 con la costituzione di una commissione di concorso di alto livello, con la predisposizione del bando e l’avvio della gara, l’individuazione dei vincitori, nessuno degli architetti ternani protestatari partecipò, con la predisposizione del progetto definitivo, la validazione dello stesso, la gara d’appalto per il primo e poi per il secondo stralcio. Sono stati anni di lavoro complesso e non facile. C’è stata anche conferma da parte dell’assessorato regionale da me diretto del proprio finanziamento ed il salvataggio di quello ministeriale a condizione, strettissima, che i lavori iniziassero quanto prima.

Ci fu poi l’acquisizione di una integrazione al finanziamento da parte della Fondazione Carit e quella fondamentale dei fondi Pnrr. Giunti a questo punto, firmato il contratto con l’impresa Krea di Narni, che fortunosamente ha vinto l’appalto sia del primo che del secondo stralcio, tenuto conto che da qui alla scadenza del Pnrr ci sono appena tre anni per completare l’opera, sarebbe un gravissimo errore perdere un solo mese di tempo tergiversando di nuovo sul vincolo post bellico, ingaggiando una guerra ormai fuori dalla storia. Non solo la città perderebbe finanziamenti che complessivamente superano i 20 milioni, non solo chi se ne assumesse la responsabilità dovrebbe risponderne di fronte alla pubblica opinione ma anche alla Corte dei conti, ma condannerebbe Terni a non avere il proprio teatro per altri venti anni e più, perché molto difficilmente le condizioni che abbiamo creato con fatica si ripeterebbero. Oltre ai danni di vari milioni che ricadrebbero su coloro che dovessero mai deliberare il blocco del cantiere perché l’impresa assegnataria otterrebbe matematicamente in giudizio il rimborso del danno a cominciare dal mancato ricavo, mentre gli attuali amministratori verrebbero chiamati a rispondere delle spese ingenti fin qui sopportate dal Comune per il bando, i progettisti, la validazione, ecc, ecc.

Chiedo pertanto al sindaco Bandecchi senso di responsabilità, perché oggi non può essere né il gusto personale, né le pressioni di coloro che lo tirano per la giacca per vincere una battaglia personalissima, contro la storia, dopo aver farcito con una montagna di menzogne le cronache cittadine di questi quattro anni, nel disperato tentativo di impedire alla città di avere un bellissimo teatro, che rispetta il vincolo ottocentesco ma anche quello più recente di oltre settant’anni fa. Il progetto a me piace molto, ma al di là dei gusti personali, ricordo che l’architettura mondiale, se si fosse limitata a copiare i modelli di due secoli prima, tradirebbe il proprio ruolo di innovazione stilistica, strutturale, estetica che in Italia e nel mondo ha prodotto esempi mirabili e cose bellissime che andiamo tutti a visitare ed ammirare.

Il mondo corre avanti e Terni e l’Umbria non possono fermarsi copiando pedissequamente modelli estetici del passato ma, nell’assoluto rispetto della bellezza contemporanea, svolgere il proprio ruolo con creatività ed apertura mentale e culturale che rispetta il passato ma sa guardare anche al futuro. Le difficoltà ci sono, a cominciare da quelle relative allo scavo per realizzare nell’interrato il ridotto, che avrei personalmente evitato, ma credo che ben poco oggi si possa fare se non affrontare con determinazione un cantiere non facile che porterà, ne sono certo, a restituire a tutti i ternani il proprio grande teatro storico, ma con tutti i livelli di agibilità, sicurezza e funzionalità che il vecchio non aveva più da decenni.

*assessore regionale ai lavori pubblici

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