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Giovedì, 18 Aprile 2024
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“Sanità in crisi, Terni è il simbolo della pagliacciata che sta prosciugando il servizio pubblico”

Stentella (Centro studi Malfatti): “La riforma del titolo V della Costituzione ha avviato la distruzione del sistema sanitario nazionale: agli amministratori non interessano i bisogni dei cittadini, sindacati inutili”

Se l’emergenza sanità pubblica in Umbria non fosse concreta sembrerebbe una nuova avventura della saga del popolare Cetto La Qualunque. Forse Terni, il secondo capoluogo, può essere considerata il simbolo della pagliacciata che si va consumando nella nostra regione, da cui non è tuttavia esente il resto dello stivale, perché nella città dell’acciaio si sta scrivendo il capitolo certamente più paradossale e ridicolo di questa commedia all’italiana d’altri tempi. Qui, infatti, l’imprenditore di turno benignamente si è offerto di regalare al popolo uno stadio nuovo fiammante in cambio della possibilità di realizzare una clinica che con una certa imprecisione semantica, oltre a una forte ipocrisia, viene definita privata, ma che potrebbe funzionare solo grazie alle risorse che ciuccerebbe dalla mammella della convenzione pubblica, come tutte le sue altre cinque sorelle nella regione Umbria.

Intendiamoci, i mali vengono da lontano, non sono tutta colpa di questa giunta regionale, ma anche delle precedenti: le cinque cliniche convenzionate saldamente allattate con denaro pubblico sono state accreditate da quelli di prima, mentre quelli di adesso non sono nemmeno favorevoli alla sesta clinica in convenzione. Ma ancora prima sono state gettate le giuste fondamenta per distruggere il sistema sanitario nazionale, con la riforma del titolo V della Costituzione, che ha regionalizzato il servizio, e con l’aziendalizzazione degli ospedali, che infatti si sono chiamati azienda ospedaliera san questo o san quell’altro. È stato un detestabile tradimento della riforma del sistema sanitario introdotta dalla legge 833/1978 sotto il ministero della democristiana Tina Anselmi, un vero fiore all’occhiello dello stato sociale italiano, che ha lasciato libertà di manovra a squadre di peones della politica che stanno svendendo un servizio pubblico al migliore offerente, continuando l’imbroglio avviato da ben altri governi centrali con le privatizzazioni dei gioielli di famiglia dell’Italia.

Tra le ultime chicche elaborate da queste menti machiavelliche (si fa per dire): la riduzione dell’orario del pronto soccorso di Umbertide fino al 10 gennaio; la chiusura della guardia medica a Calvi dell’Umbria; chiusura in genere di sedi periferiche per mancanza di personale (chissà chi doveva assumerlo); mancanza di personale per le carceri; carenza di pediatri in Valnerina; a Terni i medici di guardia medica sono passati da sei a tre; l’ospedale di Pantalla di Todi sotto continuo rischio di chiusura ; quello di Umbertide sempre più smagrito; ecc. ecc.

In questo contesto di ridimensionamento della sanità pubblica umbra è stato poi presentato un grottesco progetto di realizzazione di un nuovo ospedaletto a Terni, in project financing, che per i non addetti ai lavori in sintesi significa far entrare i privati nella gestione del nuovo piccolo nosocomio, mentre Perugia si è giustamente dotata di un ospedale molto grande e accogliente, in grado di soddisfare adeguatamente le esigenze delle persone.

Poi ci sono i centri di diagnostica e i vari centri ambulatoriali convenzionati, che in tutto fanno 558 realtà regionali, che zitti zitti lucrano approfittando delle inefficienze del settore pubblico, succhiando dal seno generoso dello Stato le risorse che sarebbero necessarie per far funzionare la macchina pubblica, in un continuo paradosso.

Non sono contrario alla sanità privata, ma ciò che è privato, per definizione, non vive alle spalle delle finanze pubbliche, si autofinanzia, ad esempio con le polizze assicurative, fornendo ai cittadini semmai una scelta alternativa al servizio pubblico. Facciamo funzionare queste realtà come vere iniziative private, poi vediamo chi è in grado di fornire un servizio migliore. Ma ricordo in proposito che molte delle cliniche finto private che ho avuto modo di visitare in Italia non dispongono nemmeno della rianimazione, che tanto la fornisce l’ospedale pubblico più vicino, se il paziente in caso di bisogno ci arriva vivo.

In tutto questo i sindacati, tutti, cosa fanno? Pingui sacerdoti senza fede di una chiesa ormai insignificante, che tutti i giorni rinnovano un voto di lealtà al demone che dovrebbero invece affrontare, ogni tanto producono un grottesco e spesso monotono comunicatino stampa o indicono un irrilevante stato di agitazione, sancendo ogni giorno di più la loro inutilità. Perché non c’erano quando bisognava opporsi alla regionalizzazione della sanità pubblica, in taluni casi salutando addirittura come una benedizione la famigerata e scellerata riforma del titolo V della Costituzione. In Umbria in particolare non si sono opposti con alcuna iniziativa efficace al progetto leghista della Tesei che aveva minacciato fin dalla campagna elettorale che il privato in Umbria “ha una percentuale troppo bassa”, guardando al modello lombardo, dove la Lega ha tagliato la spesa da 255 a circa 77 milioni nel triennio 2017 – 2019  e la sanità privata ha dimostrato una spiccata propensione per il capezzolo della finanza pubblica; ricordo gli edificanti casi del celeste Formigoni e di alcuni esponenti leghisti coinvolti in indagini .

Riassunto: siamo nelle mani di amministratori ai quali non interessa quasi nulla dei nostri bisogni; dobbiamo proteggere la mammella pubblica dal prosciugamento, i privati possono cercare altrove il latte, anche in polvere va bene.

*direttore Centro studi politici e sociali “Franco Maria Malfatti”

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