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“Mai denigrato la disabilità, solo battute su due persone arrivate in ritardo che dicevano parolacce a teatro”

La lettera di Liv Ferracchiati: “Ecco in realtà quello che è successo il 12 ottobre al Teatro Secci di Terni durante la replica del mio spettacolo. Un bieco modo di diffamare disonestamente il lavoro altrui”

Riceviamo e pubblichiamo integralmente l’intervento di Liv Ferracchiati, autore e regista teatrale, in risposta alla lettera di una spettatrice dello spettacolo andato in scena lo scorso 12 ottobre al Teatro Secci di Terni.

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Devo rubare qualche minuto agli abitanti di Terni. Qualche sera fa mi è accaduto un episodio che mi ha divertito e amareggiato insieme, sicuramente mi ha fatto riflettere sulla differenza che passa tra il lottare per i diritti di chi non ne ha o ne ha di meno e il qualunquismo che banalizza e, controintuitivamente, toglie forza ai progressi che faticosamente vengono compiuti. Banalizzando, purtroppo, tutto diventa uguale e, dunque, inutile. 

Il 12 ottobre scorso, a Terni, durante una replica del mio spettacolo La tragedia è finita, Platonov, a venticinque minuti dall’inizio, proprio a circa un quarto del mio monologo, malgrado la luce di un faro piantato negli occhi, intravedo due sagome all’ingresso della sala. Per chi non ha pratica teatrale è giusto specificare che per essere bene in luce in teatro, devi quasi farti accecare, tant’è che più che intravedere, queste due sagome io le sento. Parlo proprio del senso dell’udito e del trambusto che le due figure nel buio producono facendo avanti e indietro per il corridoio centrale della sala. Intuisco che sono in difficoltà perché non c’è ovviamente luce, mi chiedo come mai siano lì, ma sincerandomi che non cadano, continuo col mio monologo, mentre osservo la scena un po’ divertito.

Dopo qualche minuto di andirivieni però i due iniziano a parlottare tra loro, a dirla tutta smadonnano a volume sostenuto, tra improperi e blasfemie interferiscono con le mie parole. Malgrado il comportamento sia poco ortodosso trovo questi imprevisti tutto sommato leciti in teatro, per me costituito dal riunirsi di persone vive, non sempre avvezze al rigore che si converrebbe allo stare in sala. Dunque, anziché sentirmi offeso o disturbato, non riesco più a nascondere un sorriso e, all’ennesima imprecazione di una voce dal timbro maschile, interrompo il flusso del mio monologo e chiedo: “I signori cosa fanno? Vanno o vengono?”

Il pubblico che fino a quel momento probabilmente si era interrogato come me relativamente alla surrealtà dell’episodio scoppia in una risata fragorosa.

A quel punto la solita voce maschile lamenta, senza troppi fronzoli e a volume altissimo, che è proprio tutto buio e che non si vede un…

Non citerò la parola in questione, mi voglio autocensurare per educazione. 

In ogni caso, questa parola viene detta e con forza, facendola risuonare per tutta la platea, senza tenere conto del contesto. Al che, sorpreso e, devo ammetterlo, ancora più avvinto dallo strambo accadimento, faccio accendere le luci e accomodare i due originali spettatori.

È nella natura del mio personaggio improvvisare e accogliere certi imprevisti, per cui mi permetto di giocarci su, di farne parte integrante della drammaturgia in itinere. Scherzando mi scuso per aver fatto iniziare lo spettacolo senza di loro e gli riassumo per sommi capi quanto è successo fin lì. Il pubblico che sta al gioco, applaude.

Nel corso dello spettacolo faccio riferimento al buffo ritardo in altre due o tre occasioni, riferendomi sempre ai due signori insieme e al loro trambusto e ritardo. Sarò onesto, non credo sarei tornato sul fatto durante lo spettacolo se il signore non avesse imprecato in quella maniera, sono state proprio le sue esternazioni oltre il limite del bizzarro a dare vita alle mie improvvisazioni.

A fine spettacolo, durante gli applausi, stendo un palmo verso di loro per indicarli e li ringrazio. A cena commentiamo l’accaduto con i miei colleghi di scena e ne ridiamo, pensiamo ad attori di età differenti dalla nostra o a coetanei più severi di noi, al fatto che probabilmente avrebbero interrotto lo spettacolo e se ne sarebbero andati stizziti. Io però sostengo, e ci credo davvero, che è soprattutto il pubblico non avvezzo alla maniera del teatro che mi interessa e, quindi, difendo la reazione esotica, ma spontanea dei signori. Viene anche fuori che il ritardo era dovuto all’aver dimenticato un green pass a casa. 

Due giorni dopo qualche amico mi segnala una lettera comparsa su TerniToday che titola qualcosa come: “Nessun rispetto per una persona disabile, che brutto spettacolo l’altra sera a teatro”. Nella lettera una spettatrice, che poi si rivela essere la signora della coppia, racconta di essere stata denigrata da me per la sua disabilità durante il mio spettacolo. Io quasi strabuzzo gli occhi e inizialmente nemmeno capisco a quale serata della tournée ci si riferisca, poi ripescando immagini dalla mia memoria, mi torna in mente che, malgrado l’accecamento provocato dagli sbalzi luminosi, la femmina dei due ritardatari aveva, in effetti, una stampella. Ricordo di aver avuto la sensazione che avesse un piede fasciato o rotto, mi torna in mente anche che però, dopo aver fatto accendere le luci e sinceratomi che fosse seduta e al sicuro, me ne sono completamente dimenticato. Forse quella era dunque una disabilità permanente? Forse per quello non dovevo scherzare sul suo ritardo nelle mie improvvisazioni? C’era una connessione tra il fatto che la signora avesse con sé una stampella e il suo ingresso in sala trenta minuti in ritardo? C’era una connessione tra l’aver dimenticato il green pass a casa e la disabilità permanente o momentanea resa visibile dalla stampella?

Il mio scherzare sulla cosa, tra l’altro, si era riferito soprattutto al suo accompagnatore per le ragioni suddette. Dovevo evitarlo solo perché era in compagnia di una persona con una stampella? Una persona che, comunque, se non erro, si è seduta autonomamente nella sua poltroncina in prima fila.

Occupandomi anche di questione di genere mi ritrovo spesso ad essere, anche se non in prima persona, chi subisce il torto e non chi lo arreca. A sentirmi toccato da alcune affermazioni fuori luogo, indelicate o inesatte. È stato buffo e doloroso sentirsi accusati di qualcosa che di solito si subisce e che si fa massima attenzione a non arrecare, mai. Era soprattutto non corretto.

Inoltre, non sono un estremista e cerco sempre di non generalizzare. Se sostieni una buona causa, ma la usi per scopi personali o per mascherare un tuo errore, stai facendo un disservizio alla stessa causa che dovresti sostenere.

La signora sa di essere arrivata tardi, sa che non ho mai denigrato la sua disabilità, permanente o momentanea, non ho mai nemmeno lontanamente fatto riferimento a qualcosa del genere.

Lo sa, ma usa la disabilità per denigrare il mio lavoro e la mia persona.

Non sono preoccupato dall’accusa in sé perché se conosci la mia storia personale puoi dedurre che non sia vero, in più, oltre ai miei colleghi in scena, che hanno anche riportato i fatti come si sono svolti nei commenti Facebook, c’erano anche altri cento spettatori. Alcuni dei quali hanno spontaneamente segnalato la totale inesattezza del racconto della signora.

Tralasciando commenti e giudizi di chi non era presente a teatro, ma legge distrattamente solo il titolo di una notizia non vera, bisogna proprio far attenzione al qualunquismo e alla banalizzazione. Proprio perché le parole che si usano sono fondamentali.

Infine, mia madre è stata operatrice in un gruppo famiglia ed essendo cresciuto a contatto con questo contesto, non sento chi ha disabilità così diverso da me. Forse per questo quella stampella non è stata un limite alle mie battute, non era importante, perché lì c’era una persona, anzi ce n’erano due ed erano in ritardo e dicevano parolacce a teatro a voce alta, a spettacolo iniziato, in mezzo alla platea, nel buio.

Dico questo perché detesto i pietismi e come trovo pericolosa la violenza e la discriminazione, trovo pericoloso il buonismo gratuito e chi pensa di essere furbo.

La giustizia si otterrà quando, promuovendo la diversità di ognuno, ogni persona sarà considerata persona con le sue luci e le sue ombre.

E poi com’era quella storiella di Pierino che gridava “Al lupo, al lupo!”, ma non era vero?

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