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“Pnrr, investimenti e riforme anche a livello regionale: le unioni dei comuni possono fare la differenza”

Gianluigi Maravalle: “Piccoli municipi e cittadine formano un sistema debole e arzigogolato, quando invece avremmo bisogno di territori forti: serve un piano di riordino territoriale”

gianluigi maravalle-2Il Next Generation EU prevede due azioni: investimenti e riforme. Queste ultime per alcuni Paesi sono forse più importanti della prima, come nel caso dell’Italia. Il Governo Draghi è impegnato a realizzare tre importanti riforme: giustizia, fisco e pubblica amministrazione, ma il Parlamento dovrà aprire una radicale stagione di riforme, ad iniziare da quelle dell’architettura istituzionale, che dovranno comprendere ad esempio il superamento del bicameralismo anche in considerazione della riduzione dei parlamentari e ripensare il sistema delle autonomie locali che dovrà ragionare sulle macro-regioni, almeno a livello funzionale.

Anche le Regioni a caduta sono chiamate ad aprire una stagione di riforme, prima tra tutte la riorganizzazione dei territori. L’Italia è amministrata da oltre 8mila comuni, dei quali circa 5,5mila sono sotto i 5mila abitanti e sono numerose le piccole cittadine.

In Umbria ci sono 92 comuni, quelli sotto i 5mila abitanti sono oltre il 60% ed esclusi i 2 capoluoghi e 4 città sopra i 30mila abitanti, le restanti sono cittadine. L’insieme dei servizi, dalla sanità agli enti di promozione ma praticamente tutti, non trovano ragione in considerazione di territori omogenei, ma salvo rare eccezioni sono tutti a geometria variabile. Ovvero appare un sistema debole, arzigogolato, quando invece avremmo bisogno di territori forti.

È una situazione che ha delle particolarità quella dell’Umbria, ma non è molto diversa da molte altre regioni e si rappresenta quanto sia necessario intervenire per rafforzare istituzionalmente l’intercomunalità e la riorganizzazione dei servizi su aree vaste ed omogenee.

La legislazione attuale prevede la possibilità di riorganizzare il sistema territoriale attraverso due strumenti: le fusioni e le unioni dei comuni, quest’ultime hanno il pregio di conservare la qualità democratica, la partecipazione e l’auto-determinazione di ciascuna comunità ed al contempo la possibilità di organizzare i servizi su area vasta ed omogenea, realizzare politiche territoriali in tutti gli ambiti.

In molte regioni italiane, soprattutto in quelle più sviluppate, le unioni dei comuni sono numerose e ben strutturate, ma nella maggior parte dei casi il numero delle unioni è basso e/o sono poco organizzate.

In Umbria al momento le unioni sono soltanto due, quella del Sagrantino e quella del Trasimeno, che anche in considerazione di quanto riportato nel Pnrr/Umbria dimostrano come le unioni sono più capaci di sviluppare politiche territoriali e conseguentemente di attrarre fondi.

In questi processi le Regioni hanno un ruolo non secondario, come nel caso dell’Emilia, la Toscana, il Veneto e la Lombardia che da anni si sono dotate di piani di riordino territoriali e non a caso sono molto più avanti rispetto ad altre, anche a livello socio-economico, in quanto l’arretratezza delle istituzioni non è una variabile indipendente ma evidentemente una concausa delle crisi.

In materia di fusioni ed unioni dei comuni, nel perimetro della legislazione nazionale, le regioni possono normare ed agevolare, promuovere ed incentivare i processi attraverso la predisposizione dei piani di riordino territoriale. Nel Pnrr, oltre agli investimenti ed alle azioni per lo sviluppo, dovrebbe essere considerata una specifica dotazione economica per supportare tale evoluzione, considerandola una vera e propria riforma strategica del sistema Italia. Come d’altro canto i territori rappresentano un grande asset del Belpaese, che non può essere dimenticato o abbandonato.

Per quanto riguarda i piccoli comuni, la riorganizzazione in unioni è ormai una necessità urgente per rimodulare ed implementare i servizi e le strutture dedicate, ma il processo e la pianificazione in ottica regionale dovrebbe ricomprendere anche le cittadine, in quanto anch’esse scontano le criticità della dimensione limitata.

L’Unione della Romagna Faentina, che è una “piccola città metropolitana” considerando che ad essa fanno capo tutti i servizi e coinvolge 6 comuni dove risiedono complessivamente quasi 90mila abitanti, è un caso limite, ma è anche la dimostrazione di un percorso virtuoso possibile, governabile dalla regione e dai comuni.

Le unioni sono una strada valida comunque, a prescindere dal numero e dalla dimensione dei comuni dal momento che riportano la gestione delle collaborazioni intercomunali dentro una gestione più democratica e stabile rispetto alle convenzioni, ma coinvolgendo i “capoluoghi di territorio” la riorganizzazione ancor più potrebbe essere la base solida sulla quale riorganizzare tutti i servizi, le politiche di risanamento dove necessario, di sviluppo economico e sociale, non ultimo per razionalizzare i tanti enti più o meno utili.

Da altro punto di vista riforme importanti, come i piani sanitari e sociali così come i distretti economici e l’azione degli enti di promozione, ma tutte le politiche territoriali risulterebbero più efficaci e stabili. Riguardo alle unioni è evidente come oltre ad un piano di riordino predisposto dalle Regioni sia necessaria la volontà politica dei comuni ed un cambio di mentalità delle cittadine, se il modello sarà “costellare” e queste vorranno essere coinvolte.

Le unioni possono fare la forza dei territori. E il Pnrr è un’occasione per mettere in campo riforme anche a livello regionale e comunale dando vita a territori forti e capaci di migliorare la qualità dei servizi e realizzare valenti politiche territoriali.

*sindaco di Ficulle

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