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Cronaca

Varechina al posto del gel disinfettante e turni massacranti: così il Coronavirus ha invaso il carcere di Terni

Ad oggi, sei agenti di polizia penitenziaria e 69 detenuti sono positivi al Covid. La denuncia dei sindacati: disorganizzazione totale. Cipollini Macrì: indulto per riportare l’Italia nella civiltà giudiziaria

“Per non parlare della sanificazione degli ambienti secondo la direzione ternana, che inizialmente consisteva solo nel fornire al detenuto lavoratore di sezione un litro di varechina al giorno. Non che poi sia cambiato molto con l’aggiunta di un dispositivo disinfettante del tutto insufficiente per l’intero istituto”.

Le ultime note sindacali diffuse in queste ore continuano a certificare l’emergenza Coronavirus che è scoppiata dietro le sbarre di vocabolo Sabbione: sessantanove detenuti e sei agenti di polizia penitenziaria contagiati, in attesa degli esiti di ulteriori tamponi che potrebbero aggravare una situazione già delicatissima. Di fatto, il carcere di Terni è la struttura penitenziaria in Italia in cui il Covid si espande in maniera più veloce.  

La denuncia del Sappe

“La casa circondariale di Terni – scrive Donato Capece, segretario nazionale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria - da più di quindici giorni sta vivendo una situazione di gravissima criticità. La polizia penitenziaria ternana si è trovata a fronteggiare una delle più gravi emergenze sanitarie all’interno di un penitenziario italiano. Il Sappe aveva già segnalato e denunciato l’assenza di adeguate protezioni individuali, pur mantenendo - per senso di responsabilità - un basso profilo mediatico onde evitare rischi di strumentalizzazione da parte della popolazione detenuta, come successo drammaticamente nei mesi di marzo e aprile scorsi”.

“Pur tuttavia, il basso profilo delle richieste non doveva, né deve, indurre a sottovalutare la situazione laddove, malauguratamente, i colleghi di Terni si sono trovati inizialmente a prestare servizio utilizzando soltanto mascherine chirurgiche ed alcuni disinfettanti di fortuna. Tant’è che solo dopo un nostro intervento sindacale sono state fornite altre protezioni, sebbene differenti e meno efficaci di quelle in dotazione al personale medico e infermieristico allorquando fa ingresso in sezione”.

“Il personale di polizia penitenziaria in servizio nelle sezioni dove sono ristretti i detenuti positivi al Covid, infatti – rileva Capece - non è quasi mai dotato di idonei presidi sanitari, come schermi protettivi e camici monouso, nonostante non si abbia il tempo e la possibilità di lavare la tuta di servizio al termine del turno, avendone il personale, nella maggior parte dei casi, soltanto una in dotazione. Oltretutto, la disorganizzazione del servizio presso l’istituto ternano comporta che gli agenti impiegati nella sezione Covid vengano comandati anche in altri posti di servizio per i cambi, aumentando così la possibilità di contagiare altri colleghi presenti in quei reparti”.

“Per non parlare della sanificazione degli ambienti secondo la direzione ternana, che inizialmente consisteva solo nel fornire al detenuto lavoratore di sezione un litro di varechina al giorno. Non che poi sia cambiato molto con l’aggiunta di un dispositivo disinfettante del tutto insufficiente per l’intero istituto. E a tutto ciò, si aggiunga che il personale di polizia penitenziaria è spesso costretto a sopportare prolungamenti dell’orario ben oltre il consentito, spesso superiori a 10 ore di servizio continuativo, a volte senza possibilità di fruire dei pasti”.

“E purtroppo, in una situazione del genere, questa organizzazione sindacale ha dovuto registrare una risposta inadeguata da parte dell’autorità dirigente di Terni e l’assordante silenzio del provveditore regionale di Firenze”.

Il Sappe chiede dunque un “urgentissimo intervento del dipartimento inteso ad accertare la sussistenza dei livelli minimi di sicurezza e salubrità e inviando, nell’immediato, un congruo numero di personale di rinforzo a Terni”.

Sarap: mancata tutela dei lavoratori

Roberto Esposito, segretario nazionale del Sarap, che da subito ha lanciato l’emergenza Covid nel carcere di Terni, sottolinea come ora tocchi al personale di polizia penitenziaria “subire le valutazioni poche oculate e l’assenza di modalità operative nelle scelte per far fronte all’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus da parte del vertice della casa circondariale di Terni, a discapito di tutto il personale che è chiamato a svolgere quotidianamente il proprio compito istituzionale all’interno delle sezioni detentive”.

“Per tale soggetto lavoratore – precisa Esposito - è prevista la tutela da parte del proprio datore di lavoro come dettato dai principi del testo unico per la sicurezza sul lavoro, che impone al datore di lavoro di effettuare l’individuazione, l’analisi e la valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza presenti sul luogo di lavoro e, conseguentemente, di individuare le misure correttive atte ad eliminare o ridurre al minimo tali rischi. Il contagio da Covid19, configurandosi come rischio biologico, non fa differenza”.

“Per quanto di nostra conoscenza da quando è iniziata questa pandemia all’interno dell’istituto di Terni non è che sia cambiato tanto, sia sul piano igienico-sanitario che su quello organizzativo, quindi non sappiamo se siano state adottate tutte le misure necessarie per contrastare, o tentare di ridurre al minimo tale contagio, tant’è che con una nota del 25 ottobre, il Sarap chiedeva di venire a conoscenza di tutte le disposizioni di servizio emanate a riguardo del contrasto al Covid19 da parte della reggenza dell’istituto di Sabbione, ad oggi risultata ancora inevasa”.

“Come sindacato di polizia, siamo vicino ai 6 contagiati appartenenti alla polizia penitenziaria e non possiamo dire se questa è la fine, perché si resta in attesa di altri esiti di tampone effettuati sul personale in servizio all’istituto di Terni. Ma di sicuro, possiamo dire che il modus operandi non è stato ottimale fino ad oggi per contrastare il virus e tutelare il lavoratore con le giuste misure. Quindi, sarebbe opportuno che tali comportamenti venissero analizzati dagli organi competenti per una valutazione di mancanze o leggerezza a discapito di chi è chiamato a scontare una pena e da parte di chi svolge il proprio lavoro e lo chiede di fare in piena sicurezza”.

Il garante indipendente: subito l’indulto

“L’intervento dei garanti - spiega Claudio Cipollini Macrí, garante indipendente del gruppo Detenuti Liberi - è stato tempestivo, ed hanno accertato lo stato di salute della popolazione detenuta umbra. Purtroppo, il contagio è inevitabile per la carenza di spazi di isolamento preventivo e la mancanza di distanziamento come previsto dai vari decreti legge”.

“È necessario un intervento tempestivo ed immediato e non certo come dichiarato con il decreto legge Ristori che prevede la detenzione domiciliare per pene inferiori a 18 mesi. Potrebbero usufruirne un massimo di duemila detenuti – spiega Cipollini Macrì – Si tratta di una misura insufficiente che non servirà a prevenire e tutelare la salute come previsto dall’articolo 32 della nostra Costituzione, che dovrebbe tutelare la salute di ogni cittadino come principio cardine fondamentale per un Paese civile”.

“Per riportare il Paese in una civiltà giudiziaria, è necessario un decreto come quello applicato nel 2006: un indulto, utile a riportare la popolazione detenuta ad una vita inframuraria dignitosa e far ripartire il motore della giustizia ormai arenato nei tribunali. Rammentiamo che un indulto qualora non rispettato da parte di chi ne beneficia, verrebbe revocato. Quindi, nessun detenuto che ne beneficerebbe, tenderebbe di nuovo a delinquere: rammentiamo che nel 2006, solo il 27% dei detenuti che usufruirono del beneficio nel decorso dei 5 anni successivi tornò a delinquere”.

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