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Cronaca

Cittadinanza “facile”, l’inchiesta parte da Terni: così è stato scoperto il trucco

Le prime denunce della questura della città dell’acciaio portarono gli inquirenti all’ufficio anagrafe del Comune di Brusciano, nell’hinterland napoletano. Poi le pratiche sono arrivate a Todi: un centinaio i fascicoli “sospetti”, dipendenti comunali nei guai

I primi sospetti vennero ai funzionari della questura di Terni impegnati a verificare le richieste di rilascio passaporti presentate da presunti cittadini italiani di origine brasiliana. Gli accertamenti avevano fatto emergere evidenti irregolarità nelle pratiche di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis perfezionata presso l’ufficio anagrafe e dello stato civile del Comune di Brusciano, nell’hinterland napoletano. Incrociando i dati derivanti dai tabulati telefonici, quelli rinvenuti nel corso delle perquisizioni, le intercettazioni telefoniche e ambientali, e grazie a diverse testimonianze, la procura della Repubblica di Nola e i carabinieri dopo un anno di indagini avevano dimostrato l’esistenza di “un’associazione stabile, finalizzata a far ottenere a cittadini brasiliani la cittadinanza italiana iure sanguinis, in difetto dei presupposti di legge e quindi volta alla commissione di un numero indeterminato di delitti di falso in atto pubblico”.

L’operazione “Carioca” ad aprile del 2017 fece finire nei guai Luis Sonda Vanderlei, 44enne brasiliano, titolare di una agenzia di disbrigo pratiche a Terni, oltre a diversi funzionari ed impiegati del Comune partenopeo.

Il posto dell’ex giocatore di calcio a 5, messo fuori uso dall’inchiesta, sarebbe stato preso da un 68enne di Todi e da una 46enne brasiliana, anche loro titolari di una agenzia di disbrigo pratiche, che si davano da fare per consentire a loro connazionali di ottenere il doppio passaporto, senza perdere troppo tempo e, soprattutto, senza averne titolo.

L’inchiesta coordinata dalla procura di Spoleto e condotta dai carabinieri di Todi, è partita dunque da altre due indagini, a Terni e Nola, che hanno scoperchiato il fiorente giro di pratiche “agevolate” per il rilascio della cittadinanza. Oltre a velocizzare le pratiche, l’agenzia avrebbe pensato a tutto: viaggio in Italia, “servizio navetta”, il reperimento di un’abitazione da far figurare come residenza del richiedente, e poi tutta la documentazione necessaria a farsi riconoscere lo status di cittadino italiano per ius sanguinis, ovvero accreditando le origini italiane di un parente - fino alla quarta generazione - condizione necessaria per ottenere il titolo, ma in molti casi completamente inventata. Insomma, l’avo umbro sarebbe stato solo sulla carta, costruito ad arte e con il benestare di chi avrebbe dovuto controllare.

Un riconoscimento che – sempre secondo le indagini – filava via liscio all'ufficio anagrafe di Todi grazie alla compiacenza di un ufficiale e di un messo comunale, terminali operativi dell'organizzazione. Confezionata ad hoc la pratica, riferiscono i carabinieri, i controlli sulla residenza, altro requisito fondamentale, venivano fatti fittiziamente oppure al bar. E ancora, i recapiti nel modulo di domanda erano quelli dei due titolari dell’agenzia, mentre sempre gli stessi gli indirizzi indicati. Per i quattro, il gip ha disposto l’interdizione per un anno dall’attività amministrativa e quindi la sospensione dal lavoro. Un’accelerata alla burocrazia e più di un occhio chiuso sulle verifiche conseguenti, è stato ricostruito, che veniva ripagata con regalie e forse soldi, anche se il passaggio di denaro non risulta essersi verificato, ma in un caso ipotizzato sulla scorta dell’attività investigativa effettuata.

L’inchiesta, complessivamente, vede coinvolte nove persone, altri quattro sono dipendenti del Comune di Todi, tra cui un primo messo comunale, ora in pensione, che avrebbe poi collaborato fattivamente alle indagini come altri dipendenti non coinvolti dalle indagini. Agli altri impiegati indagati vengono contestati episodi di falso in atti, ma i ruoli risulterebbero essere più marginali. Le ipotesi su cui lavora la procura sono falso ideologico e materiale in atti pubblici e documenti informatici, istigazione alla corruzione e corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio.

Le pratiche sotto la lente degli investigatori sono prossime al centinaio in una indagine destinata a estendersi anche ad altri comuni. Tra quelle risultate illecite anche la richiesta di un calciatore brasiliano, per un anno in campo con la maglia di una squadra di Città di Castello, poi andato altrove a giocare.

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