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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Sospettato di mafia, chiede di essere scarcerato: trovato morto nella sua cella nel carcere di Terni

Ipotesi suicidio, la vittima è un detenuto siciliano di 54 anni, arrestato ad aprile dello scorso anno. Donato Capece (Sappe): “Fondamentale è eliminare l’ozio nelle celle. Altro che vigilanza dinamica”

Era stato arrestato lo scorso mese di aprile nell’ambito dell’operazione Caput Silente. Sospettato di fare parte di associazione di stampo mafioso, aveva presentato richiesta di scarcerazione che però era stata rigettata. E ieri si è tolto la vita nella sua cella all’interno della casa circondariale di vocabolo Sabbione a Terni.

La vittima è un detenuto siciliano di 54 anni, originario di Enna, ristretto nella sezione ad alta sicurezza.
“Il pur tempestivo intervento del sanitario di turno, prontamente allertato insieme alla sorveglianza generale dall’agente di sorveglianza – racconta Fabrizio Bonino, segretario nazionale per l’Umbria del Sindacato autonomo polizia penitenziaria - non ha purtroppo permesso di salvare la vita all’uomo. Una brutta e triste notizia”.

Della vicenda si occupa anche Donato Capece, segretario generale del Sappe, che richiama un pronunciamento del comitato nazionale per la bioetica che sui suicidi in carcere aveva sottolineato come “il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Proprio il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti”.

“Fondamentale - conclude Capece - è eliminare l’ozio nelle celle. Altro che vigilanza dinamica. L’amministrazione penitenziaria non ha affatto migliorato le condizioni di vivibilità nelle celle, perché ad esempio il numero dei detenuti che lavorano è irrisorio rispetto ai presenti, quasi tutti alle dipendenze del Dap in lavori di pulizia o comunque interni al carcere, poche ore a settimana”. Da qui il rinnovo dell’invito al Guardasigilli Marta Cartabia di trovare una soluzione urgente ai problemi penitenziari dell’intero Paese.

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