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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca

“Se potessi tornare indietro, non rifarei quello che ho fatto. Scusatemi”

Luigi Chiatti, il “mostro di Foligno”, scrive una lettera a L’Unione Sarda. Ai famigliari dei piccoli Simone e Lorenzo: non vi chiedo di perdonarmi, so che è difficilissimo

Facciamo nostre le parole di Emanuele Dessì, direttore dell’Unione Sarda, il giornale a cui Luigi Chiatti, il “mostro di Foligno”, ha inviato la lettera aperta, pubblicata integralmente ed in esclusiva dal quotidiano. Parole che rappresentano un “viaggio” nella mente dell’uomo che fra il 4 ottobre del 1992 e il 7 agosto dell’anno successivo uccise due ragazzini: Simone Allegretti, 4 anni, e Lorenzo Paolucci (13).

Dessì, commentando la missiva, sottolinea l’importanza di pubblicare il testo e di dare al “mostro” la parola dopo 25 anni agli arresti. Chiatti – che ha vissuto i primi sei anni di vita in un orfanotrofio vicino Narni per poi essere adottato da Ermanno Chiatti e Giacoma Ponti – è stato condannato il 4 marzo del 1997 in via definitiva a 30 anni di carcere. Ed ora mette per iscritto questo suo percorso. Difficile, se non impossibile, interpretare il senso della lunga missiva. L’unica possibilità è leggere il testo con “rabbia, pietà o speranza”.

Ecco alcuni passaggi della lettera.

“Gentile direttore, le chiedo cortesemente di voler pubblicare questo mio scritto in risposta a quanto è stato detto e scritto dai mass-media nei miei confronti non molti giorni fa. Innanzitutto, però, ritengo doveroso rivolgermi ai familiari delle povere giovani vittime: Simone Allegretti e Lorenzo Paolucci, prematuramente private a causa mia della loro vita. Ciò che vorrei trasmettere è che, ancor oggi, nel loro ricordo, provo una forte sensazione di immenso dolore personale che mi strugge grandemente nel ricordo dal profondo del mio cuore, tanto da aver suscitato in questi lunghi anni tanti e tanti interrogativi, tra i quali il principale è se fosse giusto o no concedermi la possibilità di rinascere a vita nuova e, quindi, rientrare tra la gente in società, considerato il dolore presente, senza fine, che a causa mia si è determinato ed è presente nelle famiglie e in tante altre persone legate alle vittime. Mi dispiace, vi chiedo umilmente scusa con il cuore in mano. Non vi chiedo di perdonarmi, so che è difficilissimo, ma per lo meno di concedermi di dare "un senso" al sacrificio delle due vittime. Io credo, anzi, sono oggi convinto, che anche da un evento così tragico si possa trarre qualcosa di positivo, dal male più profondo può emergere la luce, attraverso un processo di trasformazione e rinascita interiore della persona, ed è quello che è accaduto in questi anni. Oggi, sono una persona molto diversa, che non si riconosce in quella descritta dai mass-media, che bisogna riconoscere svolgono il loro preziosissimo lavoro ma che, non avendo avuto contatti diretti con me, anche per una mia scelta che fino ad oggi ho voluto fare per rispetto di tutti, hanno proiettato sempre la stessa immagine cristallizzata di me, senza evidenziare gli importanti progressi ottenuti, grazie all'opera di tutti gli operatori che hanno avuto modo di lavorare su di me, sull'elaborazione dei fatti e sulla strutturazione della mia persona (…).

Adesso mi trovo presso la R.E.M.S. (strutture che dal 2015 hanno sostituito gli ospedali psichiatrici, ndr) di Capoterra dal 2015, dove ho trovato degli operatori molto scrupolosi ma al contempo capaci di dare avvio, dopo più di un anno di osservazione, a un percorso esterno. Dal dicembre 2016 sto usufruendo con esito positivo di licenze accompagnate dagli operatori. Devo osservare che se nel corso della detenzione in carcere non ho mai usufruito di benefici, non è dovuto alla mancanza di requisiti comportamentali o di preparazione interiore o di mancata rielaborazione dei fatti, ma dal semplice fatto che la Legge prevede che prima si dovesse procedere alla verifica della pericolosità sociale e che questa può essere svolta solo in prossimità del termine della pena detentiva, quando vi è prossima la possibilità dell'applicazione della misura di sicurezza ordinata in sentenza (…).

Prima di porre termine a questo mio scritto vorrei rassicurare, per quanto mi è possibile, le famiglie delle povere vittime. Oggi c'è una persona diversa ristretta, una luce non riconosciuta che vuole essere accolta semplicemente perché è luce, non è più negativa ma positiva, e che vuole tanto dare agli altri, trasmettere se stessa e dare un senso a tutto ciò che è avvenuto e che non doveva avvenire. Se potessi tornare indietro non rifarei mai quello che ho fatto perché ciò che ho fatto è distruzione della vita e disprezzo del creato. Scusatemi”.

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