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Cronaca

Bimbo ucciso, la perizia “inchioda” la mamma: “È una donna pericolosa per sé e gli altri”

Omicidio di Po’ Bandino a Città della Pieve, depositato l’elaborato dei tre professionisti incaricati dal giudice di valutare le condizioni della donna

Katalina Erzsebet Bradacs era capace di intendere e volere mentre uccideva il suo bambino ed è pericolosa per sé e per gli altri.

È la conclusione alla quale sono giunti i tre periti nominati dal giudice per le indagini preliminari per stabilire la capacità di intendere e volere della donna al momento del delitto e di stare in giudizio. Adesso, terminato l’incidente probatorio, gli atti sono in mano alla Procura di Perugia che dovrà decidere se richiedere il giudizio per l’indagata.

La donna è accusata di aver ucciso il figlio, Alex di due anni, e di averlo poi poggiato sul nastro di una cassa di un supermercato a Po’ Bandino.

Seduta davanti ai periti, difesa dall’avvocato Enrico Renzoni, l’indagata ha risposto con poca chiarezza e scarsa collaborazione, non rendendo facile il lavoro dei periti, supportati anche dall’ingente documentazione fornita dalle autorità ungheresi, anche con materiale psichiatrico e sanitario (proveniente dal fascicolo sulla dolorosa separazione dal marito e padre della piccola vittima, assistito dall’avvocato Massimiliano Scaringella).

Secondo i periti emergerebbe nella donna la consapevolezza della grave azione posta in essere, sia perché aveva minacciato di farlo sia per il depistaggio messo in atto subito dopo il delitto.

La prima versione del delitto raccontata agli investigatori era stata quella “dell’uomo nero” che aveva pugnalato il piccolo Alex, seduto sul passeggino, mentre lei si era allontanata di pochi metri, forse per telefonare o fumare una sigaretta.

La madre è stata ripresa dalle telecamere a Po’ Bandino, “solo lei con il bambino” mentre “percorreva il sentiero che porta al rudere dove è avvenuto il delitto” e “sempre sola, con il figlio in braccio, questa volta ferito e verosimilmente già privo di vita” quando “giunge nel supermercato” dove compie il gesto di adagiarlo, chiedendo aiuto. Il giudice per le indagini preliminari scrive anche che “una messinscena sembra anche la ferita da taglio all’avambraccio sinistro della donna”.

Durante un interrogatorio aveva cambiato i protagonisti dell’episodio, ma sempre mantenendo una via di fuga aperta, raccontando di aver visto una figura vestita di bianco che le avrebbe ordinato di farlo, cioè di accoltellare il bambino.

Comparsa davanti al giudice per le indagini preliminari, nell’ambito della discussione della prima perizia che ha ritenuto l’imputata incapace di intendere e volere, ma che al magistrato non è bastata tanto da chiederne un’altra, alla donna era stato chiesto se fosse a conoscenza del perché si trovasse in tribunale e lei aveva risposto: “Perché ho ucciso il mio bambino”.

A detta di periti il comportamento scarsamente collaborativo della donna, però, ha impedito di accertare pienamente se sussistono elementi sull’incapacità piena della stessa. Potenzialmente c’è spazio per parlare di una capacità diminuita al momento dell’omicidio, un vizio parziale di mente che potrebbe essere usato per una sentenza più mite.

D’altronde ha poco da dire, in quanto la verità fattuale (ancorché processuale) è stata ricostruita dai Carabinieri e dalla Procura di Perugia e lei stessa, davanti al pubblico ministero Manuela Comodi e al giudice Angela Avila, così come davanti ai periti, ha riconosciuto i suoi comportamenti.

Il sostituto procuratore Manuela Comodi adesso ha tutti gli elementi per poter chiudere le indagini e fare la richiesta di rinvio a giudizio. Secondo la ricostruzione degli investigatori Katalin Bradacs ha adagiato il corpo del piccolo Alex sul nastro trasportato della cassa di un supermercato di Po’ Bandino, frazione tra Città della Pieve e Chiusi, chiedendo aiuto, ma pochi istanti prima lo avrebbe colpito almeno nove volte con un coltello (due i colpi mortali secondo il medico legale).

La donna, 44 anni, in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato, mentre chiedeva aiuto aveva già inviato foto, video e audio che ritraevano, testimoniavano e rendevano noto il delitto a parenti e amici in Ungheria. Si tratta di file che gli investigatori diretti dal sostituto procuratore Manuela Comodi hanno rintracciato seguendo i numeri delle comunicazioni via cellulare. Immagini e video diffusi tramite social ad amici, parenti (come il primo figlio, 18enne, che poi avrebbe allarmato le autorità avendo visto l’immagine del fratellino morto) e che testimoniano il disagio della donna, così come testimoniato dai servizi sociali ungherese che le avevano tolto il bimbo, affidandolo al padre, con diritto di visita due volte e sotto sorveglianza.

Il delitto sarebbe maturato nell’ambito del rapporto conflittuale con l’ex marito, proprio per l’affidamento del figlio, che le autorità ungheresi avevano dato all’uomo, ritenendo la donna inaffidabile. Eppure era riuscita a lasciare il proprio Paese e tornare in Italia, dove si è consumato il delitto, consumato per punire l’uomo che riteneva il nemico.

Una telefonata tra la donna e il padre del bimbo, finita negli atti di inchiesta, riporta la richiesta dell’indagata di poter avere più giorni a disposizione con il figlio, affinché non si dimentichi di lei. L’uomo le dice che non spetta a lui concedere qualcosa, ma che è necessario che lei si curi prima e accetti la decisione del giudice. La 44enne, con un passato da ballerina nei night e nel mondo del porno, piange, si dispera, dicendo che così non lo vedrà per anni e il bimbo non si ricorderà di lei. In un messaggio, inviato ad un amico, subito dopo il delitto, avrebbe scritto: “Adesso non lo avrà nessuno”.

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