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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Pedone investito e ucciso, sentenza da rifare dopo 15 anni: “Doveva essere indicata la velocità dell’auto”

Ternano condannato per un incidente dell’agosto 2007. La decisione della Corte di cassazione: “Ricostruita la condotta alternativa doverosa senza identificarla con precisione”

“Un generico riferimento all'inadeguatezza della velocità tenuta dal conducente non è sufficiente, ma occorre individuare la velocità adeguata ovvero quella che, alla luce di tutte le circostanze del fatto, risultava ragionevolmente in grado di evitare l’investimento”.

Così i giudici della quarta sezione penale della Corte di cassazione (presidente Donatella Ferranti, relatore Lucia Vignale) nella sentenza che stabilisce che dovrà essere un'alttra Corte di appello a pronunciarsi sull'incidente che il 4 agosto del 2007 costò la vita ad un pedone. I fatti si verificarono lungo la via Palombarese, tra Tivoli e Roma. Al volante dell'auto che urtò l'anziano pedone si trovava un ternano classe 1947.

“Con sentenza del 12 aprile 2021 – ricostruiscono i giudici di Cassazione - la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza pronunciata il 6 marzo 2012 con la quale il Tribunale di Tivoli aveva affermato la penale responsabilità di (...) per il reato di cui all’art. 589 del codice penale, condannandolo, previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi quattro di reclusione e subordinando la sospensione condizionale allo svolgimento di attività non retribuita” in favore di un’associazione di volontariato.

“Dalla ricostruzione fornita dai giudici di merito emerge che, il 4 agosto 2007” il ternano “si trovava a percorrere la via Palombarese diretto a Roma alla guida dell’autovettura targata (...) e urtò con la parte anteriore laterale sinistra il pedone (...) che proveniva dalla sinistra dell’auto e aveva già attraversato la corsia di marcia opposta. Per effetto dell’urto” il corpo dell’uomo “fu caricato sul cofano e cadde al suolo a poco più di due metri dal veicolo. L’anziano pedone riportò lesioni cui conseguì la morte”.

In primo e secondo grado è stata accertata “la penale responsabilità dell’imputato ancorché egli procedesse a una velocità moderata (indicata tra i 20 e i 30 km/h), il traffico fosse intenso per entrambe le direzioni di marcia e il pedone avesse attraversato fuori dalle strisce, passando tra i veicoli incolonnati nella direzione di marcia opposta a quella percorsa dall’imputato”. In particolare, i giudici hanno ritenuto che l’automobilista ternano “non abbia adeguato la velocità alle condizioni del traffico, non abbia prestato la dovuta attenzione alla strada e, per questo, non si sia accorto della presenza del pedone che aveva attraversato un’intera semicarreggiata e, attesa l’età avanzata, non avanzava velocemente”. I giudici hanno inoltre sottolineato che “la presenza di pedoni sulla carreggiata era prevedibile, perché la strada attraversava un centro abitato, ai lati della stessa c’erano case e negozi, alcuni metri prima del punto d’urto c’era un attraversamento pedonale” e “hanno sostenuto che il pedone era visibile, sicché l’investimento avrebbe potuto essere evitato riducendo ulteriormente la velocità e prestando la massima attenzione”.

Nel ricorso presentato dal difensore dell’imputato viene però evidenziato che “la sentenza non ha individuato la condotta alternativa doverosa. Non ha indicato, infatti, la velocità che, valutati i tempi di avvistamento e i tempi di reazione, il veicolo avrebbe dovuto tenere per evitare l’evento”.

Le motivazioni della difesa trovano “sponda” nei giudici di Cassazione secondo i quali il ricorso “è fondato”: “Le sentenze di merito hanno ricostruito la condotta alternativa doverosa senza identificarla con precisione. La sentenza impugnata afferma, infatti, che la velocità adeguata è quella identificata come valevole a garantire una sicura circolazione stradale nelle specifiche condizioni date, idonea ad evitare, tenuto conto delle condizioni di tempo e di luogo, gli eventi prevedibili secondo l'id quod plerumque accidit. Ignora, dunque, i più recenti arresti giurisprudenziali in materia, secondo i quali nei reati colposi, qualora si assuma violata una regola cautelare cosiddetta elastica, che cioè necessiti, per la sua applicazione, di un legame più o meno esteso con le condizioni specifiche in cui l’agente deve operare (…) è necessario, ai fini dell’accertamento dell’efficienza causale della condotta antidoverosa, procedere ad una valutazione di tutte le circostanze del caso concreto sicché un generico riferimento all’inadeguatezza della velocità tenuta dal conducente non è sufficiente, ma occorre individuare la velocità adeguata ovvero quella che, alla luce di tutte le circostanze del fatto, risultava ragionevolmente in grado di evitare l’investimento”.

La sentenza della Cassazione prosegue inoltre definendo la motivazione della sentenza impugnata “carente anche nella parte in cui afferma che il traffico intenso avrebbe potuto non consentire l’avvistamento dei pedoni in attraversamento soltanto nella fase iniziale. Non chiarisce, infatti, perché l'avvistabilità sia stata ritenuta certamente sussistente pur in assenza di indicazioni sulle caratteristiche e sulla altezza dei mezzi che si trovavano sulla corsia attraversata dal pedone, il quale raggiunse la semicarreggiata che (...) stava percorrendo passando tra i veicoli incolonnati nella semicarreggiata opposta. L'argomentazione utilizzata dalla sentenza impugnata, secondo la quale il pedone poté essere visto” da una testimone oculare “e poteva quindi essere visto” anche dall’automobilista ternano, “presenta profili di manifesta illogicità perché la teste si trovava sul marciapiede opposto a quello dal quale era iniziato l'attraversamento, aveva quindi una visuale ben diversa rispetto a quella dell'imputato e, poiché il pedone camminava verso di lei, poté vederlo sia quando scese dal marciapiede che durante l'attraversamento”.

Gli atti tornano dunque “per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma”. E, nonostante il fatto risalga ormai a più di quindici anni fa, “la prescrizione non è ancora maturata”.

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