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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

“Piano regionale dei rifiuti, un paravento tecnico-scientifico per trattare i cittadini come fessi”

Intervento del Comitato No inceneritori Terni: ampliamento delle discariche e incenerimento, è soltanto una malcelata riedizione del vecchio piano. I dubbi sul Cts

Pubblichiamo un intervento del Comitato No inceneritori sul nuovo piano regionale dei rifiuti.

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La giunta regionale dell’Umbria ha prodotto un nuovo piano regionale dei rifiuti. Al suo interno sappiamo non è pianificata alcuna misura reale verso l’economia circolare, non ci sono impianti finalizzati al recupero di materia e alla selezione del recuperato (causa del basso indice di riciclo delle plastiche, ad esempio) ma è una riedizione neanche troppo dissimile dal vecchio piano regionale. Sappiamo infatti che nella malcelata intenzione di non pianificare sul modello trevigiano, benchmark europeo, il piano prevede invece l’ampliamento delle discariche, l’incenerimento dei rifiuti in un nuovo (?) inceneritore e il 72% di raccolta differenziata entro il 2030. Soprattutto sappiamo che in realtà, e l’assessore Morroni ci tiene a ricordarlo in ogni sua uscita sul tema, si è giunti a questa pianificazione grazie al lavoro del famigerato comitato tecnico scientifico. Ebbene, ad una lettura dei verbali delle sedute e dei curricula di molti “esperti” è possibile affermare che questo non sia stato altro che uno specchietto per le allodole, una sorta di copertura “tecnico-scientifica” per giustificare una scelta già presa ben prima della definizione dei membri del comitato. Un tentativo molto maldestro di mistificazione, come vedremo, a cui molti “esperti” si sono prestati. Altri invece hanno preferito pilatescamente sottrarsi, a giudicare dalle assenze continuative, piuttosto che dimettersi e magari sollevare un caso che avrebbe aiutato tutti ad impedire questo insensato piano regionale.

Intanto una prima osservazione: è opportuno coinvolgere in una pianificazione che prevede modifiche, nuove autorizzazioni, nuovi procedimenti di Aia e Via, gli uffici regionali e Arpa, cioè gli enti che dovrebbero poi decidere esattamente se tali modifiche potranno essere autorizzabili o meno? Ha senso per capirci che la Regione e Arpa decidano che le discariche di proprietà di Acea o Gesenu siano da ampliare e poi ricevere le istanze di richiesta di autorizzazione all’ampliamento dalle stesse società? Cosa pensiamo risponderanno Arpa e Regione?

E poi, ha senso coinvolgere docenti universitari, professionisti e società miste pubblico-privato che hanno avuto negli anni appalti, commesse, compensi per consulenze, incarichi, proprio dalle società che in Umbria, dal nord al sud della regione, si occupano di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti? Parliamo cioè di Acea, Gest, Gesenu, Tsa, Sia e loro varie articolazioni societarie.

Ha senso che nei fatti, come vedremo, gli esponenti del mondo scientifico lì chiamati per esprimersi sugli impatti del ciclo dei rifiuti sulla salute, non abbiano potuto (voluto?) presentare alcun parere tecnico? Certo se le premesse erano “In merito agli aspetti sanitari viene evidenziata una maggiore criticità sia per l’emotività sociale coinvolta che per elementi puramente tecnico-scientifici... Inoltre, la complessità e i tempi di realizzazione di possibili specifiche indagini epidemiologiche risultano non compatibili con i tempi della pianificazione regionale. Si concorda nel riconoscere che la trattazione di tali aspetti è caratterizzata da fattori di elevata sensibilità sociale che richiede un approccio espositivo e divulgativo particolarmente attento a limitare le comuni forme pregiudiziali e a scongiurare possibili timori. Pertanto, si ritiene che l’approccio più costruttivo dovrebbe essere quello di trattare le questioni in termini di “riduzione rispetto a”, in modo da far cogliere i miglioramenti possibili limitando analisi leggibili in termini negativi” (verbale seduta del 3-9-2020).

E ancora “l’impossibilità di reperire dati certi sugli effetti delle emissioni degli impianti industriali e di altre attività produttive da cui discende l’estrema difficoltà ad individuare, allo stato attuale, specifici indicatori di impatto sulla salute; per tale motivo, come già concordato e deliberato nella terza seduta, il comitato ribadisce che per fare il “punto zero” in materia di impatti sulla salute umana non possono che essere presi a riferimento esclusivamente i fattori emissivi di cui all’inventario regionale delle emissioni in atmosfera (IRE) e nella fattispecie PM e Nox.” (verbale seduta del 13-1-21).

Tutto molto chiaro. Che senso ha coinvolgere epidemiologi e Asl se già si stabilisce che non avranno il tempo per produrre alcunché? La soluzione sembra essere questa: poiché i cittadini sono molto emotivi, sensibili, bisognerà usare strategie comunicative per convincerli che non ci saranno impatti ma al contrario riduzioni di emissioni. Eppure la proposta iniziale avanzata dai membri “sanitari” del Cts era piuttosto chiara “...l’opzione che appare più corretta a livello metodologico è la valutazione – sulla base dei dati di letteratura – degli effetti della presenza degli impianti sulla popolazione, in luogo della valutazione specifica dei singoli flussi – opportunamente scomputati – sulla salute della popolazione locale.” (verbale insediamento Cts 28/7/2020).

Questo è lo stato delle cose in Umbria. Si crea un paravento tecnico-scientifico, i cui membri, vista anche la gratuità della loro partecipazione, non risponderanno di quanto affermato; si dà a questo paravento un ruolo di primo piano pur non avendo al suo interno così tanti esperti di gestione dei rifiuti, se non inopportunamente i membri di enti pubblici come Regione, Arpa e Auri. Si creano i presupposti perché siano ampiamente tutelati gli interessi dei privati che operano nella nostra regione. Si trattano come fessi i cittadini utilizzando strategie comunicative per coprire l’assenza di pareri in ambito sanitario delle ricadute degli impianti. Inoltre si pianifica un piano regionale che farà girare circa 200mila tonnellate di rifiuti piuttosto che vederli intercettati con un efficiente e capillare sistema di raccolta porta a porta, che ha dimostrato di poter portare territori molto simili ai nostri a sfiorare il 90% in pochi anni, molto prima del 2030.

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