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Cronaca

Racket dell’assistenza in ospedale, l’interrogatorio: “Tutto falso, mai conosciuto quella donna”

La quarantenne albanese accusata di violenza e minacce per accaparrarsi i pazienti del Santa Maria di Terni davanti al pubblico ministero. Pronta una memoria difensiva

“Sono innocente, è tutto un complotto: non ho mai conosciuto la donna che mi accusa”. Così la quarantenne albanese finita sotto inchiesta per violenza e minacce dopo la denuncia presentata da un’altra donna, ternana, per due distinti episodi che si sarebbero verificati tra gennaio e febbraio del 2017 e che sarebbero la “spia” di un presunto racket dell’assistenza per i pazienti dell’azienda ospedaliera Santa Maria di Terni.

La quarantenne sotto inchiesta – il procedimento è ricominciato da zero dopo l’annullamento del processo per una serie di difetti nelle notifiche – assistita dal suo avvocato, Giacomo Marini del foro di Roma (nella foto), ha chiesto di fornire dichiarazioni spontanee al sostituto procuratore della Repubblica Marco Stramaglia che coordina le indagini.

avvocato giacomo marini-2Un interrogatorio che è servito alla donna per ribadire la sua estraneità ai fatti contestati e che verrà integrato da una memoria difensiva che sarà presentata nelle prossime ore. Si preannuncia insomma un confronto piuttosto serrato in aula con l’avvocato Marini che si dice pronto a chiamare a testimoniare “tutti i dipendenti dell’ospedale” pur di dimostrare l’innocenza della sua assistita.

Secondo la ricostruzione dell’accusa, nel primo episodio contestato la donna avrebbe avvicinato i familiari di un malato, offrendo servizi ad un prezzo più basso rispetto a quello praticato dall’assistente che in quel momento aveva in carico il paziente. Alle rimostranze della donna (“…così ci rubi il lavoro…”), la quarantenne avrebbe risposto facendo la voce grossa.

“Allora non hai capito, io sono sedici anni che lavoro qui dentro e sono la padrona dell’ospedale. Smettila che io ti ammazzo”. Così almeno nella denuncia presentata dalla donna minacciata, cinquantenne di nazionalità ucraina, anche lei residente a Terni.

Qualche giorno dopo, le cose si sarebbero ripetute perché la cinquantenne aveva avviato una raccolta firme tra le assistenti dell’ospedale per denunciare le pressioni praticate da altre donne. “Perché tu raccogli le firme delle assistenti? Io ti firmo con il coltello – avrebbe detto ancora la donna sotto processo - se non la smetti subito io ti ammazzo, ti mando i miei nipoti”.

Gli episodi, leggendo le carte dell’accusa, sarebbero però riconducibili ad una “guerra” per l’assistenza ai malati. Guerra rispetto alla quale la quarantenne albanese si dice estranea.  

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