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Cronaca

Rapina all’Emi, pugno duro dei giudici: i fratelli restano in carcere. Il “giallo” della pistola

Il blitz nel locale commerciale, la fuga a tutta velocità su un’auto rubata e poi il nascondiglio. I dettagli delle indagini, i testimoni e i sequestri. Ma all’appello manca l’arma con cui è stato messo a segno il colpo

Tra i “corpi di reato” sequestrati nell’ambito delle indagini sulla rapina messa a segno al supermercato Emi di via Di Vittorio a Terni lo scorso 10 marzo c’è di tutto: una felpa nera con cappuccio, un passamontagna e un copri casco, entrambi neri, un paio di sneakers nero-grigie. C’è anche un taglierino. Manca però all’appello l’arma con cui i due fratelli calabresi – ma residenti a Terni – finiti in carcere, avrebbero messo a segno il colpo.

Lo scrivono i giudici del tribunale del Riesame di Terni nell’ordinanza con cui rigettano l’istanza presentata dal legale di uno dei due fratelli, l’avvocato romano Giacomo Marini, con la quale si chiedeva il dissequestro del materiale prelevato nel corso delle indagini che a fine aprile hanno aperto le porte del carcere di Terni. E nelle stesse ore in cui il riesame di Terni rigettava l’istanza di dissequestro, i colleghi di Perugia confermavano la custodia cautelare in cella per i presunti rapinatori.

Che il pomeriggio dello scorso 10 marzo sono entrati in azione “circa alle 14.50”. “Due persone, vestite di nero e travisate in volto - ricostruiscono gli investigatori - accedevano al supermercato dall’ingresso secondario. Giunti all’interno del locale commerciale, uno saliva in piedi sulla cassa e dopo aver schiaffeggiato l’addetto gli intimava di aprirla, prelevando il denaro custodito, mentre l’altro minacciava i presenti con una pistola e si avvicinava alla seconda cassa, sottraendo parimenti le banconote, con asporto della somma complessiva di 1.600 euro”.

La fuga si consuma “a bordo di una autovettura Y10 di colore verde verso via Turati” con la quale la coppia si dirige verso “la basilica di san Valentino”. Passati pochi minuti dal colpo, “sia la polizia giudiziaria sia la squadra mobile si recavano in (…) poco distante dal luogo della rapina ove riscontravano la presenza di (...). Gli stessi venivano condotti presso la questura di Terni e poco dopo rilasciati in ragione del fatto che gli indumenti indossati al momento del controllo erano diversi rispetto a quelli indossati dai rapinatori”.

Un ruolo chiave nell’indagine lo ha avuto una testimone che ha raccontato agli inquirenti che “circa 15 minuti dopo le 14.42 del 10 marzo, mentre rientrava a casa, percorreva via Salvo D’Acquisto quando notava una Y10 di colore verde con a bordo due giovani sopraggiungere a tutta velocità che quasi la investiva e quindi parcheggiare davanti ad una palazzina.  Dopo pochi secondi i due giovani sbucavano a piedi correndo da una traversa poco più avanti, si dirigevano all’interno di (…) in un cortile e, dopo aver gridato ‘babbo... babbo...’ sparivano all’interno”. La testimone ha anche riconosciuto i due giovani da alcune fotografie che le sono state mostrate in questura.

“Sempre in data 11 marzo l’autovettura in questione veniva rinvenuta in via Salvo D’Acquisto e i successivi accertamenti fornivano elementi univoci idonei a supportare la valutazione di identità tra il veicolo rinvenuto - oggetto di furto il 2 marzo - e quello con cui era stata commessa la rapina”.

Elementi questi che, assieme al materiale sequestrato, viene ritenuto dagli inquirenti e dalla magistratura sufficiente per posizionare i due fratelli sul luogo del delitto e dunque ascrivere a loro carico la responsabilità della rapina. Anche se all’appello manca ancora la pistola che non è stata trovata né in casa dei due presunti responsabili né nelle abitazioni delle compagne dei due trentenni.

marini_1-2L’avvocato Marini annuncia dunque l’intenzione di “ricorrere in Cassazione ove sussistano i presupposti” di voler inoltrare una ulteriore “istanza di scarcerazione per il mio assistito. Smonteremo punto per punto i capi d’accusa”.

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