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Cronaca

Soldi sporchi, quasi trecento operazioni “sospette” a Terni: così le mafie fanno affari nella Conca

Le segnalazioni degli specialisti dell’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia. Allarme della Cgia di Mestre: migliaia di aziende rischiano di finire fra le braccia degli usurai

Quando una operazione finanziaria appare “sospetta” scatta un alert. Bonifici nazionali e internazionali, money transfer, pagamenti in contanti possono infatti destare l’attenzione degli operatori del settore come banche, assicurazioni, uffici postali ma anche notai, sale giochi o assicurazioni che – in questo caso – inviano un “alert” agli specialisti della Uif, l’Unità di informazioni finanziaria della Banca d’Italia. Una volta ricevuti questi avvisi, la Uif effettua degli approfondimenti sulle operazioni sospette e le trasmette, arricchite dell’analisi finanziaria, al nucleo speciale di polizia valutaria della guardia di finanza e alla direzione investigativa antimafia (Dia). Da qui partono indagini, approfondimenti ed eventuali provvedimenti.

Secondo l’ultima relazione elaborata dagli 007 di via Nazionale, le segnalazioni di operazioni sospette che hanno interessato Terni e il Ternano nel 2020 sono state 264, ossia 18 in meno a quelle del 2019 (-6,4%), ossia 5 ogni settimana pari a 118,1 segnalazioni ogni centomila abitanti. Per avere un paragone regionale, le segnalazioni partite da Perugia verso gli 007 dell’Uif di Bankitalia sono state 768, 77 in più (+11,1%) rispetto alle 688 del 2019.

A livello territoriale le situazioni più critiche si sono registrate nelle province di Prato (352 segnalazioni ogni 100 mila abitanti), di Milano (331,3), di Napoli (319,6), di Roma (297,9) e di Caserta (247,5). Le province meno coinvolte, invece, sono state quelle di Nuoro (76), di Viterbo (75,5) e la Sud Sardegna (57,8).

A livello nazionale, le segnalazioni sospette di riciclaggio nel 2020 sono state 113.187 (+7 per cento sul 2019). “Una soglia, quella in valore assoluto – rileva la Cgia di Mestre - mai toccata negli anni precedenti. Oltre il 99 per cento del totale di queste denunce riguarda operazioni di riciclaggio di denaro che, molto probabilmente, sono di provenienza illegale e solo lo 0,5 per cento, invece, sono riconducibili a misure sospette di terrorismo e proliferazione di armi di distruzione di massa”.

Come ha denunciato la stessa UIF nella Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie nel gennaio scorso, le infiltrazioni delle organizzazioni criminali nel tessuto produttivo del Paese avvengono sempre più spesso attraverso il ricorso ad attività usurarie o estorsive nei confronti di attività che, rispetto ad altre, hanno risentito maggiormente della crisi pandemica.

“In particolar modo a quelle che appartengono all’immobiliare, all’edilizia, ai servizi di pulizia, al tessile, al turistico-alberghiero, alla ristorazione, ai trasporti. Ancorché provvisorie – sottolineano ancora dall’Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre - si segnala che nel 2020, a seguito delle chiusure imposte alle attività economiche e alle misure di confinamento a cui gli italiani sono stati sottoposti, le denunce pervenute alle forze dell’ordine in riferimento ai reati contro il patrimonio sono diminuite in misura significativa: estorsioni (-6 per cento); danneggiamenti (-15,4 per cento); rapine (-18,1 per cento); ricettazione (-26,5 per cento); furti (-32,9 per cento); contraffazione (-43,5 per cento). In controtendenza solo le truffe/frodi informatiche (+14,4 per cento) e, purtroppo, l’usura (+16,2 per cento)”.

Trend piuttosto simile si è verificato nel territorio provinciale dove però, ad esempio, le denunce per usura sono state completamente azzerate mentre i reati di frodi e truffe informatiche sono aumentati del 61%.

La Cgia di Mestre pone però l’accento anche su un altro tema. “L’aumento delle segnalazioni di riciclaggio potrebbe trovare una sua giustificazione in merito al fatto che in questi ultimi anni gli impieghi bancari vivi alle imprese hanno subito una diminuzione molto decisa. Pertanto, non è da escludere che avendo ricevuto molti meno soldi dagli istituti di credito, tanti imprenditori, soprattutto piccoli, si siano rivolti a coloro che potevano erogare del credito con una certa facilità”.

Secondo l’ultimo rapporto sulle economie territoriali realizzato da Bankitalia, in provincia di Terni il “monte” prestiti a famiglie e imprese ammonta a poco più di 3,7 miliardi di euro, in diminuzione rispetto agli oltre 4 miliardi del 2019. Le “sofferenze” delle imprese - a livello regionale - superano i 900 milioni di euro e le imprese (in modo particolare quelle “piccole”) incamerano oltre il 12% di questi crediti deteriorati.

Aziende e partite Iva che vengono “schedate” presso la centrale dei rischi della Banca d’Italia come insolventi. “Una classificazione che, di fatto – spiega la Cgia -pregiudica a questi soggetti economici di accedere a prestiti erogati dalle banche e dalle società finanziarie. Una condizione che, ovviamente, non consente di avvalersi nemmeno delle misure agevolate approvate l’anno scorso con il decreto liquidità. Non potendo ricorrere a nessun intermediario finanziario, queste Pmi, strutturalmente a corto di liquidità e in grosse difficoltà finanziarie, in questo periodo di carenza di credito rischiano molto più delle altre di scivolare tra le braccia degli strozzini”.

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