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Cronaca

Maggiore trasmissibilità e rischio reinfezione, ecco perché la variante brasiliana del Covid fa paura

Che cos’è e quando è stata scoperta: il punto sulle “mutazioni” del virus in una circolare del ministero della salute. In Umbria altri 42 campioni sospetti: via agli accertamenti dell’Istituto superiore di sanità  

Qual è l’impatto delle varianti sul contagio di Sars-CoV-2 in Italia e nel mondo? Quali sono le conseguenze sui vaccini? Cosa occorre fare per avere un quadro sempre aggiornato sulla presenza di ciascuna variante in Italia? Il ministero della salute fa il punto sulla diffusione a livello globale delle nuove varianti del coronavirus, tra valutazione del rischio e necessaria implementazione delle misure di controllo.

La circolare porta la firma di Gianni Rezza, direttore generale. L’analisi dell’evoluzione della situazione epidemiologica, le nuove evidenze scientifiche e le indicazioni pubblicate dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie sono punti fermi per non farsi trovare impreparati.

La variante “brasiliana” individuata negli ultimi giorni in due casi in Umbria – ma l’Istituto superiore di sanità dovrà pronunciarsi entro il fine settimana su altri 42 campioni - è stata per la prima volta segnalata dal Giappone il 10 gennaio in 4 viaggiatori in arrivo dal Brasile e successivamente identificata anche in Corea del Sud in viaggiatori provenienti dal Brasile. Alla data del 25 gennaio 2021 la variante è segnalata in 8 Paesi, compresa l’Italia. In Brasile il numero di nuovi casi settimanali nelle ultime due settimane è riportato a livelli più elevati rispetto a quello da settembre a novembre 2020, e dall’inizio di novembre sono aumentati i decessi.

In base alle informazioni al momento disponibili, la variante brasiliana non è “strettamente correlata alle varianti 501Y.V2 e VOC 202012/01 (ossia, quella inglese e quella sudafricana) ed ha “11 mutazioni della proteina spike, 3 delle quali si trovano nel dominio legante il recettore”. Non è stato riportato alcun effetto della variante sui test diagnostici e “non presenta delezioni nel gene S” si legge nella circolare. Indagini preliminari condotte a Manaus, nello Stato di Amazonas, riportano un aumento della percentuale di casi identificati come variante P.1, dal 52,2% (35/67) nel dicembre 2020 all’85,4% (41/48) nel gennaio 2021, evidenziando la trasmissione locale in corso e suggerendo una potenziale maggiore trasmissibilità o propensione alla reinfezione. Non sono disponibili evidenze sulla gravità della malattia, sulla frequenza delle reinfezioni e sull’efficacia del vaccino.

Per una serie di ragioni, anche “territoriali”, la variante che però più spaventa l’Europa e l’Italia è quella cosiddetta inglese.

I dati presi in analisi dalla circolare del ministero della salute sono aggiornati al 25 gennaio 2021. A quella data, 70 Paesi hanno riportato casi importati o trasmissione comunitaria di tale variante. Nel Regno Unito, l’incidenza dei casi di Covid19 è aumentata dall’inizio di dicembre 2020 fino al raggiungimento di un picco all’inizio di gennaio 2021. Poi, dall’11 al 24 gennaio è stata osservata una tendenza decrescente, a seguito dell’implementazione di rigorose misure di controllo sanitarie e di distanziamento sociale. A metà gennaio l'impatto della variante ha rallentato, con incidenza in calo anche in Danimarca, Irlanda e Paesi Bassi.

Sembra comunque certo che questa variante sia più contagiosa. Nel Regno Unito e in Irlanda del Nord ha dimostrato di avere una maggiore trasmissibilità rispetto alle varianti circolanti in precedenza. “Studi preliminari suggeriscono una maggiore gravità della malattia, tuttavia per confermare questo dato sono necessarie ulteriori analisi” nel corso del tempo. “Non ci sono evidenze di una significativa differenza nel rischio di reinfezione rispetto agli altri ceppi virali circolanti. Sono in corso studi per valutare l’effetto di questa variante sull’efficacia vaccinale, che sembrerebbe limitatamente e non significativamente ridotta, sebbene siano necessari ulteriori studi per ottenere risultati definitivi”.

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