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Cronaca

Caso Corvi, “inverosimile che sia stata uccisa da Lo Giudice”, movente passionale ed economico “privi di fondamento”

Le motivazioni della sentenza con cui la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso della procura di Terni contro la scarcerazione del marito della donna scomparsa da Amelia ad ottobre del 2009

“Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato”. In quattordici pagine le motivazioni della sentenza che, alla fine dello scorso mese di settembre, ha rigettato il ricorso presentato dalla procura della Repubblica di Terni contro la decisione del tribunale del riesame che aveva rimesso in libertà Roberto Lo Giudice, arrestato a marzo con l'accusa di avere ucciso e poi fatto sparire il corpo della moglie, Barbara Corvi, scomparsa da Amelia il 27 ottobre 2009, a 35 anni.

Il provvedimento – emesso dalla sezione numero uno della Suprema corte - presidente Vincenzo Siani – accoglie in maniera totale le scelte del riesame, sottolineando che “l’ordinanza impugnata con ragionamento scevro da vizi logici e giuridici, evidenzia come il novum a fondamento della richiesta di misura cautelare formulata dalla procura della Repubblica di Terni, costituito dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ed in particolare dalla chiamata in reità del fratello dell’indagato, Antonino Lo Giudice, non consenta di ritenere, pur se letto congiuntamente con gli altri elementi emersi dall’ampia attività investigativa in relazione alla scomparsa di Barbara Corvi, la sussistenza nei confronti di Roberto Lo Giudice di gravi indizi di colpevolezza in ordine all’omicidio della moglie”.

Analizzando ad esempio “gli ultimi movimenti dell’indagato prima della scomparsa della moglie a partire dalle 16.15 del 27 ottobre 2009” la Cassazione conferma la tesi del Riesame in base alla quale “è scarsamente verosimile che l’indagato abbia ucciso la moglie prima delle ore 17.01, avendo ricevuto numerose e lunghe telefonate in cui peraltro appariva a detta degli interlocutori sereno; che, potendo essere successo il fatto fra le 17.01 e le 17.30, essendo risultato alle successive 17.38 l’indagato già in auto e lontano da casa, Lo Giudice non avrebbe avuto il tempo di uccidere la moglie, ripulire la scena del crimine e occultare il cadavere, considerato che tra le 17.30 e le 18.30 incontrava almeno quattro persone e alle 18 entrava in un bar, apparendo in tal modo inverosimile sia che l’indagato abbia potuto uccidere la moglie in casa sia che lo abbia fatto in auto”.

Per la Suprema corte, inoltre, è da escludere “che sia provato l’invio da parte dell’indagato (attraverso, altresì, l’accesso da parte del fratello Maurizio alla casella e-mail della Corvi)” all’amante di Barbara Corvi, Carlo Barcherini, “di un messaggio tramite Messenger il giorno prima della scomparsa, con cui Barbara Corvi preannunciava allo stesso il suicidio a seguito della scoperta dell’adulterio da parte del marito”. I giudici della prima sezione confermano ancora il passaggio del Riesame che rileva “come dalle dichiarazioni di Barcherini e anche della sorella della Corvi non fosse vera la circostanza valorizzata nell’ordinanza che Barbara non avesse mai manifestato intenzioni suicide, manifestate, invece, ancor prima del suddetto messaggio sia all’amante che alla sorella”.

“Sempre detto tribunale – scrive la Cassazione nella sentenza - non ritiene confermato dalle risultanze investigative, quanto valorizzato dall’ordinanza ossia che l’indagato non abbia partecipato nell’immediatezza alle ricerche della moglie, avendole, invero, a detta del figlio Giuseppe, iniziate da subito e proseguite nei giorni successivi, recandosi poi, come confermato da Barcherini e dal suocero, a casa del primo prima di formalizzare la denuncia di scomparsa della moglie; né che abbia mentito affermando di avere coinvolto il giorno successivo alla scomparsa della moglie amici cacciatori nelle ricerche della stessa, coinvolgimento che sembra piuttosto confermato dalle sommarie informazioni” rese da alcuni testimoni.

Ancora, “non è provato che Roberto Lo Giudice sia coinvolto nella spedizione da Firenze delle cartoline apparentemente sottoscritte da Barbara Corvi, indirizzate ai figli Salvatore e Giuseppe, recanti le frasi ho bisogno di stare un po’ da sola, baci mamma e torno presto baci mamma, la cui grafia è stata ritenuta da entrambi i figli non riconducibile alla madre; emergendo, al contrario, dati indiziari che militerebbero per l’attribuibilità della condotta” all’amante di Barbara come raccontato da un’amica della giovane mamma amerina e come emerge da ammissione dello stesso amante di essersi recato a Firenze proprio nei giorni in cui sarebbero state spedite le cartoline, ossia dal 2 al 4 novembre del 2009.

Confermata ancora la decisione del Riesame sul fatto che “non è riscontrato che l’indagato abbia mentito quando ha riferito di uno schiaffo dato alla moglie il 26 ottobre 2009, con conseguente perdita ematica dalla narice (non rilevando, invero, che le sorelle della donna, come dalle medesime riferito, incontrandola poco dopo l’asserito schiaffo, non si sarebbero accorte di alcunché, considerata l’insussistenza di elementi per ritenere che detto schiaffo avesse effettivamente impresso sul volto della donna segni visibili; e neppure il silenzio serbato dalla Corvi, data la tendenziale reticenza della medesima a riferire in ordine alle aggressioni perpetrate dal marito) e che è meramente congetturale la tesi del pubblico ministero circa l’esigenza dell’uomo di precostituirsi un alibi per il caso in cui fosse stata trovata qualche traccia ematica della donna nel veicolo”.

Non regge, di fronte al Riesame e di fronte alla Cassazione, il “movente economico” che “appare privo di reale fondamento”. “Da un lato, perché i prelievi di denaro e le dismissioni di polizze pochi giorni prima della scomparsa della donna (fino a detta scomparsa) erano stati fatti di comune accordo tra i coniugi a seguito di una soccombenza in un’importante causa civile e del suggerimento dell’avvocato di spostare il patrimonio intestandolo ad altre persone; dall’altro, perché Lo Giudice ha fornito spiegazioni circa l’impiego del denaro prelevato”.

Stesso discorso per il “movente passionale”: “L’uomo aveva consapevolezza di relazioni extraconiugali della moglie prima della scomparsa della stessa” e “le dichiarazioni dei genitori della Corvi confermano la crisi coniugale della coppia nell’ultimo periodo, seppure il giorno precedente la scomparsa della donna Lo Giudice, dopo avere parlato con la compagna di Barcherini che gli avrebbe confermato la relazione tra quest’ultimo e la moglie, avrebbe colpito con uno schiaffo Barbara Corvi e l’avrebbe affrontata alla presenza dei genitori, inveendo contro di lei e rompendole il telefono cellulare. Comunque detta reazione aggressiva plateale e l’esternazione di risentimento alla presenza di più persone – scrive la Cassazione - appare ictu oculi scarsamente conciliabile con una maturata volontà omicidiaria, al pari del fatto che, subito dopo la scomparsa della moglie, Lo Giudice abbia allacciato una relazione con Caterina Parise, della cui conoscenza pregressa il tribunale ritiene non esservi traccia in atti. Anche tale modus operandi, lungi dall’apparire indice di un effettivo coinvolgimento dell’indagato nella sparizione di Barbara Corvi, appare al contrario eccentrico rispetto al profilo dell’omicida che operi al fine di scongiurare la formazione di sospetti su di sé”.

Quanto alle dichiarazioni rese da tre collaboratori di giustizia (Antonino Lo Giudice, fratello dell’indagato e già capoclan della cosca omonima, Costantino Villani e Federico Greve, già marito di Caterina Parise, la quale a sua volta è sorella di Carmen, moglie di Maurizio Lo Giudice) viene confermato che “tutte le dichiarazioni sono tardive, in quanto rese oltre il termine di 180 giorni fissato dall’articolo 16 quater della legge 82 del 1991 e addirittura a distanza di molti anni dalla iniziale manifestazione della volontà collaborativa, con indubbia ripercussione non sulla loro utilizzabilità nella fase delle indagini preliminari anche ai fini delle misure cautelari personali, bensì sulla loro attendibilità intrinseca, profilo assolutamente trascurato dal primo giudice che, quanto alle dichiarazioni rese da Antonino Lo Giudice, si limita a fare leva sul disinteresse degli inquirenti, confermato da Lo Giudice, all’inizio della collaborazione del capoclan per la vicenda di Barbara Corvi”.

Motivi che hanno dunque portato la Cassazione a respingere il ricorso. Ma che amplificano gli interrogativi mai risolti di questa vicenda: che fine ha fatto Barbara Corvi?

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