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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca

Spacciatore condannato, ma i giudici: restituitegli i soldi sequestrati, con la droga non c’entrano

Ventenne egiziano deve scontare due anni di cella, la sentenza della Cassazione: nessun nesso tra il denaro sequestrato e lo smercio di sostanze stupefacenti

È una sentenza “particolare” quella pronunciata dalla sezione numero 6 della Corte di cassazione - presieduta da Anna Criscuolo - contro il provvedimento emesso il primo luglio 2021 dal tribunale di Terni nei confronti di un ventenne egiziano, assistito dall’avvocato Valentino Viali, che prevedeva due anni di reclusione e 4mila euro di multa. Il giovane era infatti stato trovato in possesso di sostanza stupefacente e denaro contante, poi oggetto di confisca e “devoluzione all’erario”.

Il ventenne ha presentato ricorso ai giudici della Suprema corte, contestando due particolari elementi della sentenza: la recidiva e, appunto, il provvedimento di sequestro dei soldi.

La Cassazione si è espressa giudicando “infondato” il ricorso relativo alla recidiva, ossia al fatto che il ragazzo avesse già commesso in passato reati collegati allo spaccio di sostanze stupefacenti. Parere diverso è stato però espresso in relazione al sequestro del denaro.

“Dalla formula adottata in sentenza – scrivono i giudici della Suprema corte - sembra che la confisca del denaro, di cui non viene neppure precisato l'importo, sia stata disposta dal giudice in quanto profitto del reato, avuto riguardo al mancato esercizio di attività lavorativa da parte del ricorrente ed ai precedenti di polizia da cui lo stesso risulta gravato, e che vi sia un elevato pericolo di reimpiego”.

Ossia, il denaro è stato sequestrato perché ritenuto provento di spaccio e perché, in mancanza di una posizione lavorativa, era difficile spiegarne la provenienza.

La confisca, dice però la Cassazione, “impone al giudice un adeguato impegno motivazionale” ma “nella vicenda in scrutinio, tale onere non è stato assolto se non in termini meramente apparenti”.

“Reato in addebito non è, difatti, la cessione di stupefacenti, della quale le somme sottoposte a vincolo coercitivo sarebbero il corrispettivo, bensì la detenzione finalizzata, per quantità e varietà tipologica delle sostanze, alla cessione a terzi”.

La sentenza entra dunque nel cuore del ragionamento spiegando che “anche ad ammettere che le somme rinvenute nella disponibilità dell'imputato costituissero provento di spaccio di sostanze stupefacenti in ragione degli elementi presuntivi, per vero alquanto generici, indicati in sentenza, quali l'assenza di occupazione lavorativa stabile da parte dell'imputato ed i suoi precedenti, penali e di polizia, si tratterebbe del corrispettivo di altre, pregresse cessioni, che esulano dalla regiudicanda”.

Tutto questo presuppone che non è “possibile ricostruire alcun nesso eziologico tra il danaro sottoposto a sequestro impeditivo ed il reato per cui si procede”. Per questo, “va disposto l’annullamento della misura ablativa con la conseguente restituzione all’avente diritto”. Anche se, per stessa ammissione dei giudici, sarà difficile quantificare la somma da restituire visto che non compare da nessuna parte.

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