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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Truffa dei diamanti, il filo rosso che porta in Umbria: così è scoppiato lo scandalo

Centinaia di risparmiatori hanno comprato i preziosi, scoprendo poi che il valore era molto più basso. Sequestrati beni per 700 milioni di euro. Le denunce a Federconsumatori, ecco le storie

C’è la giovane coppia che prova a far fruttare i risparmi e l’anziana signora, rimasta sola, che ha cercato un investimento sicuro per il gruzzolo messo assieme in una vita di lavoro. Sono tante le storie che si inseguono nella cosiddetta “truffa dei diamanti”, una “trappola” dentro alla quale sono finiti non solo nomi celebri del mondo dello spettacolo, da Vasco Rossi a Federica Panicucci, ma anche tante persone “normali”, rimaste però con un palmo di naso.

L’inchiesta

La guardia di finanza ha sequestrato 700 milioni di euro a istituti bancari e alle due società coinvolte nella vendita dei diamanti, che secondo le accuse sono stati ceduti a un prezzo gonfiato tra il 2012 e il 2016. L’inchiesta coinvolge una settantina di indagati e cinque banche: Bpm, Aletti, Unicredit, Intesa e Montepaschi. La situazione peggiore è in Bpm, il cui direttore generale Maurizio Faroni risulta tra gli indagati (per concorso in truffa, autoriciclaggio e ostacolo all'esercizio della vigilanza). Alla banca (e alla controllata Aletti) sono stati sequestrati quasi 84 milioni di euro. Montepaschi si è visto sequestrare 35 milioni e mezzo, Unicredit 32 e Intesa 11 milioni. I sequestri hanno riguardato anche la Diamond Private Investment per 253 milioni e la Intermarket Diamond Business (nel frattempo fallita) per 328 milioni. Queste ultime sono le due società specializzate in compravendita di diamanti che hanno finalizzato le vendite (per più di un miliardo di euro, di cui circa 600 milioni riconducibili a Bpm e Aletti per quasi 40 mila clienti) utilizzando le banche come intermediari. Ad avviare l'indagine è stata l’autorità Antitrust nel 2017, in seguito ad alcune proteste di risparmiatori che non erano riusciti a rivendere i diamanti ad un prezzo almeno pari a quello dell'acquisto scoprendo così che li avevano comprati a prezzi “folli”.

Le origini

Prima ancora che i casi approdassero all’Antitrust e poi in tv – della vicenda si è occupata anche la trasmissione Report di Milena Gabbanelli – diversi fascicoli finirono sulle scrivanie della Federconsumatori dell’Umbria. “Dopo la crisi della Lehman Brothers – ricostruisce Alessandro Petruzzi, Federconsumatori Umbria – numerosi risparmiatori cercano investimenti sicuri per i loro risparmi. Si tratta di famiglie, pensionati, lavoratori che magari avevano la necessità di mettere al riparo risparmi, tfr e via di seguito”. A queste esigenze, i mediatori crediti – ossia, le banche – risposero proponendo di investire in Idb, parlando di una scelta “sicura”. Comprati i diamanti, i risparmiatori avevano due possibilità: lasciare i preziosi nelle aziende, ritirarli e magari metterli in custodia presso le stesse banche o ancora portarseli materialmente a casa. “È così che si sono avute le prime avvisaglie della truffa. Perché, facendo stimare i diamanti – racconta Petruzzi – i risparmiatori scoprivano che quegli oggetti avevano un valore del 20 o 30% più basso rispetto al capitale investito”. Si sono così aperti tavoli di conciliazione e arbitrati bancari che, in alcuni casi, hanno permesso di recuperare una quota degli investimenti, fino al 60-70%. “Una signora di 80 anni – racconta Petruzzi – su consiglio della banca ha investito tutti i suoi risparmi, circa 35.000 euro”. Centinaia di casi in Umbria, da Orvieto ad Umbertide. Fino a sconfinare nella bassa Toscana e in Emilia Romagna.

Cosa fare adesso

Gli sviluppi dell’inchiesta adesso impongono di serrare le fila. “Come Federconsumatori – dice Petruzzi – abbiamo avviato un canale di dialogo con il curatore fallimentare della Idb (fallita circa un mese fa) ed abbiamo avuto conferma che i diamanti non rientrano nel fallimento ma sono a disposizione dei legittimi proprietari. A patto che questi entro l’8 marzo comunichino allo stesso curatore le loro proprietà, certificando l’entità dell’investimento”. Evitando insomma la beffa della truffa, ossia che i preziosi rientrino nel sequestro.     

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