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Cronaca

Usura, giro d’affari da un milione e mezzo: “Dacci i soldi o chiamiamo i romani”

Nuovi particolari dall’operazione tra Terni e la capitale: nove episodi accertati, analizzate 1.400 transazioni. La banda: una consulente amministrativa e un lavoratore di una cooperativa

“Mi servono tremila euro per pagare un funerale”. Non si sono fermati nemmeno davanti a un invalido in pensione i “recuperatori” della banda di usurai smascherata dall’operazione Hirudo (dal latino sanguisuga) messa in campo dalla polizia di Stato e dalla guardia di finanza di Terni con il coordinamento della procura della Repubblica. Nella conferenza di mercoledì pomeriggio, il questore Bruno Failla e il procuratore capo Alberto Liguori, insieme ai vertici della squadra mobile e delle fiamme gialle, hanno fatto il punto della situazione spiegando come la banda si muoveva sul territorio. 

Le vittime Tra le vittime sia pensionati o anziani in difficoltà, sia imprenditori locali che si sono rivolti al giro della banda per tentare di rimanere in corsa con varie spese da affrontare. Vittime che non solo venivano prese in mezzo nel momento in cui avevano bisogno di liquidità, ma che erano anche “invitati”, in particolare dalla donna di 65 anni finita nel mirino degli inquirenti, per esempio a investire denaro nell’acquisto all’asta di gioielli. Investimenti che avrebbero fruttato un guadagno ma che invece portavano soltanto alla necessità di ulteriore liquidità. A quel punto le vittime venivano indirizzate a chiedere soldi ad altri esponenti della stessa banda. Un giro che dunque in un certo senso si alimentava anche dall’interno. 

I numeri A far riflettere anche i numeri movimentati: in totale un milione e seicentomila euro, questo il volume del traffico scoperto, con nove episodi di usura accertati dagli inquirenti in un anno e mezzo. Quasi 1.400 le operazioni finanziarie monitorate dagli inquirenti: in particolare gli arrestati avevano un tenore di vita “dichiarato” di 20mila euro annui. Elemento che ovviamente stonava con le movimentazioni di denaro di cui erano capaci. Diversi i casi presi in esame, dal pensionato che aveva bisogno di soldi, a chi doveva pagare il funerale di un parente, fino a chi è stato costretto a rivendersi l’auto appena acquistata, per poter sanare il “debito” con il sodalizio. E spesso a chi non poteva pagare, la minaccia consisteva nel far entrare in scena i “romani”: “Guarda che chiamiamo i romani”, questa una delle frasi più utilizzate da chi doveva recuperare il denaro, riferendosi al ramo della capitale della banda. Un ramo che gli inquirenti ritengono avesse delle maggiori disponibilità di denaro e anche uno spessore criminale più robusto rispetto a chi operava su Terni.

Gli arresti In carcere sono finiti un trentunenne di Terni e un cinquantaseienne di Roma, mentre ai domiciliari si trovano una sessantacinquenne e un quarantanovenne, ternani, e un cinquantacinquenne, anche lui residente nella Capitale, fratello dell’altro romano. La donna, di professione consulente amministrativa, avrebbe invece avuto il ruolo di intermediaria tra gli stessi e vittime. Gli altri lavorano ufficialmente come dipendente di una cooperativa e con una partita Iva aperta ma poco utilizzata, secondo i riscontri delle fiamme gialle.

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