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Dal dietrofront Outokumpu al Magnetico: viale Brin torna made in Italy dopo vent’anni

Dopo 137 anni di storia Ast vende al gruppo Arvedi, che già mostrò interesse dopo l’addio dei finlandesi del 2012. I nuovi acquirenti oggi fatturano 3 miliardi di euro

Viale Brin torna in mani italiane dopo vent’anni. A poche ore dall’ufficializzazione della vendita di Ast al gruppo Arvedi, e dopo le numerose reazioni politiche, gli addetti ai lavori iniziano i ragionamenti su quelli che verosimilmente potranno essere le mosse dei nuovi padroni di viale Brin. 

La storia Per prima cosa c’è da considerare il recente passato di Ast, abbastanza turbolento soprattutto dal punto di vista occupazionale. Si comincia nel 1994, quando l’acciaieria specializzata nella produzione di inox, già parte della Finsider prima e dell’Ilva poi, entrambe del gruppo Iri, viene definitivamente privatizzata, con la Krupp che ne diviene la proprietaria insieme alle aziende italiane Falck, Agarini e Riva. Sette anni più tardi, nel 2001, dopo essersi fusa con la Thyssen, Krupp assume la proprietà dell’intero pacchetto azionario e l’acciaieria è così completamente straniera.

Magnetico Tra il 2004 e il 2005 la prima dura vertenza dell’era Tk, conclusa con la chiusura del reparto specializzato nella produzione di acciaio magnetico. E' il primo atto di un decennio a seguire che sarà complicato: nel 2012, insieme a tutta la divisione inox di Tk, Ast passa ai finlandesi di Outokumpu, ma l'operazione viene bocciata dall’Antitrust della commissione europea per evitare la costituzione di un gruppo con posizione dominante. Rimessa sul mercato, ecco che già allora Arvedi aveva manifestato il suo interesse, ma con un colpo di scena è di nuovo ThyssenKrupp ad assumerne il controllo. Nel 2014 l’ultima storica vertenza, quella che ha visto gli operai scioperare per quasi 40 giorni per impedire gli oltre 500 esuberi annunciati dall’azienda. Seguono anni di risanamento economico, ma nel 2019 i conti tornano in rosso (157 milioni di euro la perdita nell'ultimo anno fiscale). Fino al nuovo capitolo Arvedi, che consolida quindi il suo ruolo sul mercato. 

I conti di Arvedi Il gruppo di Cremona è da unire, nel made in Italy, ai nomi di Marcegaglia, Riva, Danieli, e alle nuove Acciaierie d'Italia che hanno rilevato l'ex Ilva di Taranto. Rimane ancora incerto invece il futuro delle acciaierie di Piombino, in mano dal 2018 agli indiani di Jindal che non hanno però mai concretizzato un piano industriale di rilancio del sito. Sul fronte dei numeri, Arvedi è una controllata dalla holding Finarvedi che conta circa 3.800 dipendenti, produce e trasforma 4 milioni di tonnellate di prodotti siderurgici con un fatturato consolidato di circa 3 miliardi di euro. La sede è a Cremona e le unità produttive che ne costituiscono il nucleo principale sono sei: due a Cremona, una a Trieste, la Ilta Inox a Robecco d'Oglio (sempre in provincia di Cremona), la Arinox a Sestri Levante (Genova) e la Metalfer a Roé Volciano (Brescia).

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