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Il buco nero della crisi si è ingoiato il lavoro di trentamila giovani. E mille ragazzi umbri hanno fatto le valigie

Dossier della Regione Umbria sulle “Norme in materia di politiche giovanili”: disoccupazione elevata, eccessiva flessibilità nei percorsi lavorativi e indipendenza economica in ritardo

“I giovani sono un gruppo sociale in condizioni generali di grande debolezza nella nostra società e anche in Umbria. Hanno un tasso di disoccupazione elevato, un accesso all’occupazione ritardato, soffrono di una notevole ed eccessiva flessibilità nei percorsi lavorativi, raggiungono l’autonomia e l’indipendenza economica molto in ritardo rispetto al passato. Le condizioni strutturali di incertezza determinano una situazione di precarietà delle condizioni di vita per un tempo molto lungo che influisce anche sulla costituzione di un proprio nucleo familiare”.

È la premessa con cui si apre la relazione della giunta regionale dell’Umbria sulla legge regionale del 1 febbraio 2016 in relazione alle “Norme in materia di politiche giovanili”

Numeri, ma anche considerazioni sulle condizioni di vita dei giovani sul territorio regionale per cercare di indirizzare gli interventi e le risorse e agire su una situazione che “tende a determinare una perdita di fiducia – spiega il documento - che si traduce in disinteresse nella partecipazione alla vita sociale e pubblica, in un quadro in cui anche le istituzioni sono spesso considerate distanti dalle loro esigenze”.

Eppure, “la legge riconosce ai giovani, quale risorsa essenziale della comunità umbra, autonomi diritti di partecipazione e promuove la centralità delle politiche giovanili come condizione necessaria per l’innovazione e per la crescita umana sociale, occupazionale, culturale ed economica della regione stessa”. Ma è abbastanza evidente che in una condizione di sfiducia generalizzata, la socialità – intesa nel suo più ampio significato – non rappresenti una priorità.

Il quadro

Al primo gennaio 2020, la popolazione di età inferiore ai 35 anni residente in Umbria ammonta a 286.042 unità, il 32,5% della popolazione totale. Tra i residenti con meno di 35 anni sono 146.825 i maschi e 139.217 le femmine. Complessivamente, nel corso del 2019 gli appartenenti alle “giovani generazioni” sono diminuiti di quasi 3.323 mila unità (289.365 nel 2019). La fascia d’età 14-35 anni al 1 gennaio 2020 ha fatto registrare una diminuzione di 649 unità.

Giovani umbri con la valigia

Per quanto riguarda i trasferimenti di residenza dei giovani verso altre regioni Italiane o per l’estero, gli ultimi dati Istat disponibili (2017-2018) evidenziano una lieve diminuzione dei trasferimenti per l’estero nelle due fasce di età considerate – ovvero fino a 17 anni e da 18 a 39 anni - pari a 31 unità ma con un aumento dei trasferimenti verso altre regioni italiane pari a 56 unità.

Analizzando più nel dettaglio i dati, gli umbri che nel 2018 hanno cancellato la loro iscrizione da una anagrafe del territorio regionale sono stati 292 nella fascia d’età fino a 17 anni e 856 fra 18 e 39 anni (più maschi che femmine). Il dato sale a 1.630 unità se vengono prese in considerazione tutte le età, fino a 65 anni e più. Se poi vengono aggiunti anche gli stranieri che hanno lasciato l'Umbria, le cancellazioni complessive nel corso del 2018 sono state 2.553.

Il lavoro che non c’è

Il dossier di Palazzo Donini rileva che “l’occupazione dei 25-34enni attualmente risulta inferiore di ben 30mila unità rispetto al 2008 e quella dei 15-24enni in calo di 9mila unità, con una ulteriore contrazione rilevata anche nel 2018 (-1.000 per entrambe le fasce d’età). L’incremento dell’inattività (dal 55,5% al 58,9%) non ha però significato un aumento del fenomeno dei Neet (chi non studia, non lavora e non fa attività di formazione) che, al contrario, ora riguarda il 19% dei residenti con meno di 30 anni (-0,5 punti). La numerosità dei Neet infatti, nel 2018 è ridiscesa a quota 23mila (-1.000) un valore intermedio tra il massimo toccato nel 2014 (29mila, pari al 23%) e quello pre-crisi (17 mila, pari al 12,9%) e inferiore a quello del centro (19,6%) e quello nazionale (23,4%)”.

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