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“Il sommerso è il terzo settore più numeroso dell’economia”, a Terni quasi 4mila “fantasmi” del lavoro

La campagna di Confartigianato contro irregolari e abusivi: “Un mondo parallelo che vale 202,9 miliardi di euro e rappresenta l’11,3% del Pil e il 12,6% del valore aggiunto”

Oltre tre milioni di pericolosi “fantasmi” si aggirano per l’Italia: sono i lavoratori irregolari e gli operatori abusivi che popolano il sommerso, quel mondo parallelo che “vale” 202,9 miliardi di euro e rappresenta l’11,3% del Pil e il 12,6% del valore aggiunto, in cui non esistono regole e che produce danni ingenti alle imprese, alla sicurezza dei consumatori, alle casse dello Stato. Per numero di ‘occupati’, 3,2 milioni di irregolari, il sommerso è il terzo settore più numeroso dell’economia italiana, preceduto dai servizi, che contano 16,3 milioni di addetti, e dal manifatturiero (4 milioni di addetti).

A denunciare le cifre del fenomeno è uno studio di Confartigianato che lancia l’allarme sulla minaccia del sommerso per le attività dei piccoli imprenditori. Sono infatti 709.959 le aziende italiane maggiormente esposte alla concorrenza sleale ad opera di 1 milione di operatori abusivi che si spacciano per imprenditori, ma che di regolare non hanno nulla. È irregolare il 14% dei soggetti che svolgono attività indipendente e questa quota è aumentata d 0,6 punti percentuali rispetto al 2011.

L’analisi territoriale, basati sugli ultimi dati Istat (2021) disponibili solo per gli occupati, evidenzia che nel 2019 il tasso di irregolarità degli occupati a livello territoriale è massimo nel Mezzogiorno e pari al 17,5% mentre il Centro-Nord si attesta sul 10,7%, con il valore più basso di 9,2% nel Nord-Est.

Primato negativo per la Calabria, dove non è regolare un quinto degli occupati (21,5%) seguita da cinque regioni del Mezzogiorno, quali Campania (18,7%), Sicilia (18,5%), Puglia (15,9%), Molise (15,8%) e Sardegna (15,3%). Il tasso più alto rilevato in Calabria è ben 2,6 volte quello meno alto osservato nella Provincia Autonoma di Bolzano e pari all’8,4%.

In base alle elaborazioni di Confartigianato sulla base dei dati Istat, in Umbria la percentuale degli occupati non regolari sul totale sarebbe del 13%, pari a circa 48mila unità.

Per quanto riguarda i dati territoriali dell’incidenza dell’economia non osservata sul valore aggiunto, nel 2019 la quota più alta nel Mezzogiorno e pari al 18,2% mentre il Centro-Nord si ferma sull’11,0% con il valore più basso nel Nord-Ovest (10,0%). Le incidenze più alte si rintracciano in sei regioni del Mezzogiorno, cioè Calabria (20,2%), Campania (19,1%), Sicilia (18,4%), Puglia (18,3%), Sardegna (16,7%) e Molise (16,2%), mentre la quota più bassa è l’8,2% della Provincia Autonoma di Bolzano.
In Umbria, il “valore aggiunto” generato dall'impiego di lavoro irregolare, tocca una percentuale del 5,4%.

Le prime dieci province per numero di unità di lavoro indipendenti non regolari sono Roma con 84mila unità, Napoli con 59.500 unità, Milano con 47.400 unità, Torino con 30.600 unità, Salerno con 26.100 unità, Bari con 25.500 unità, Palermo con 21.800 unità, Catania con 21.500 unità, Cosenza con 18.800 unità e Caserta con 18.000 unità.
Secondo la stima di Confartigianato, gli “indipendenti” non regolari su tutta la provincia di Terni sarebbero 3.900, mentre a Perugia sarebbero 12.800 c.

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