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Meccanici, camionisti, elettricisti e idraulici: a Terni ne mancano quasi la metà. Ecco le professioni “introvabili”

In città è difficile da reperire quasi una figura professionale su due: l’elenco completo e la situazione in Umbria e nel resto d’Italia nel dossier di Confartigianato

L’altra faccia della medaglia è questa: ci sono delle professioni che vale la pena fare e con cui – quasi sicuramente – si può trovare lavoro. Intanto, però, la situazione non è delle migliori. Anzi. Secondo l’analisi dei dati rilevati mensilmente da Unioncamere – Anpal per il sistema informativo Excelsior, a gennaio 2023 – a livello nazionale - a fronte di 503.670 entrate, il 45,6% risultano difficili da reperire: si tratta di 229.674 profili professionali ricercati. “Tale quota – specifica il dossier redatto da Confartigianato - risulta più elevata di 12 punti percentuali rispetto a quella di un anno fa (33,6%)”.

Le 73 professioni più difficili da reperire per le micro e piccole a vocazione artigiana nel 2022

“Una analisi centrata sulle 73 professioni più difficili da reperire dalle micro e piccole imprese (MPI) a vocazione artigiana – spiega il documento di Confartigianato - evidenzia la maggiore criticità per conduttori di mezzi pesanti e camion con 85.490 entrate difficili da reperire (56,7% del totale entrate in Mpi), muratori in pietra, mattoni, refrattari con 80.620 (46,2%), elettricisti nelle costruzioni civili con 41.460 (63,4%), tecnici della vendita e della distribuzione con 22.590 (45,1%), idraulici e posatori di tubazioni idrauliche e di gas con 22.550 (70,1%, l'ottava quota più alta), acconciatori con 21.290 (50,1%), meccanici artigianali, riparatori automobili con 20.850 (69,9%, la decima quota più alta), operai macchine utensili automatiche e semiautomatiche industriali con 19.510 (62,7%), montatori di carpenteria metallica con 19.110 (64,7%), autisti di taxi, conduttori di automobili, furgoni e altri veicoli con 17.460 (37,8%), meccanici e montatori di macchinari industriali con 17.030 (56,0%), attrezzisti di macchine utensili con 15.010 (68,6%), installatori e riparatori di apparati elettrici ed elettromeccanici con 13.420 (65,2%), tecnici programmatori con 13.200 (66,8%), tecnici della gestione di cantieri edili con 11.540 (61,4%), contabili con 11.100 (44,1%) e analisti e progettisti di software con 10.760 (80,8%, la seconda quota più alta). Complessivamente per queste 73 professioni si registra una quota di difficoltà di reperimento del 51,0% rispetto al 32,4% rilevato per le restanti professioni richieste dalle MPI.

La situazione a livello regionale e provinciale

A livello regionale, nel primo mese dell’anno in corso, “fanno più fatica ad intercettare i profili di cui hanno bisogno le imprese del Trentino-Alto Adige (con quota di entrate difficili da reperire pari a 56,7%), Friuli-Venezia Giulia (55,5%), Valle d’Aosta (54,8%) ed Emilia-Romagna (50,1%). Tale difficoltà risulta più elevata, rispetto a gennaio 2022, nelle regioni di Puglia (+9,3 punti percentuali), Trentino-Alto Adige (+9,2 p.p.), Basilicata, Emilia-Romagna e Calabria (tutte e tre a +9,0). Per quanto riguarda l’Umbria, i dati dicono che a gennaio 2023 la “quota di entrate difficili da reperire” è stata del 49,7%, ossia 6 punti in più rispetto al 2022. Si tratta del quinto dato negativo a livello nazionale a fronte di una media nazionale del 45,6%.

Tra le province che scontano maggiormente la difficoltà di reperire il personale troviamo Provincia Autonoma di Bolzano (con quote di entrate difficili da reperire pari al 52,5%), Pordenone con il 52,0%, Gorizia con il 48,8%, Pavia con il 48,3% e Provincia Autonoma di Trento con il 47,9%.

Il dossier di Confartigianato dice che a Terni, nel 2022, è stato difficile reperire le figure professionali richieste nel 46,6% dei casi. Si tratta del 13esimo dato peggiore a livello nazionale ed ha visto un peggioramento fra 2021 e 2022 pari al 4,7% del totale delle entrate previste.

I fattori del “mismatch” tra domanda e offerta di lavoro

“La crisi demografica, determinata da denatalità e invecchiamento della popolazione – dice il dossier di Confartigianato - si riverbera sul mercato del lavoro, riducendo gli attivi e incrementando la difficoltà di reperimento. Nell’arco degli ultimi dieci anni i giovani under 35 attivi sul mercato del lavoro - occupati e in cerca di occupazione - si sono decimati, pari al 10,4% in meno, equivalente ad un calo di 716mila unità. Nei prossimi 30 anni la popolazione in età da lavoro è prevista in diminuzione del 23,6%, con un calo diffuso in tutte le regioni, e una accentuazione di circa dieci punti percentuali nel Mezzogiorno (-33,4%): le regioni con una più alta intensità del calo demografico sono Calabria (-34,7%), Molise (-34,8%), Basilicata (-39,5%) e Sardegna (-40,4%). Sempre a livello regionale, per l’Umbria la stima è di una variazione in negativo del 27,7% nella popolazione con età compresa fra 15 e 64 anni (la media nazionale è del 23,6%)”.

“Oltre al trend demografico, che influisce sulla disponibilità dei candidati, sul mismatch di domanda e offerta di lavoro interferiscono altri fattori, tra cui: l’adeguatezza del candidato che consegue al percorso scolastico e formativo svolto, la precedente esperienza lavorativa, necessaria per posizioni con elevate competenze tecniche, il livello e le prospettive di evoluzione della retribuzione e della carriera in azienda, la tipologia contrattuale offerta, oltre all’accesso a strumenti di welfare aziendale. La rapidità del progresso tecnologico nella transizione digitale in corso genera un maggiore difficoltà di aggiornamento e adeguamento del sistema scolastico. Sull'offerta di lavoro influisce la quantità e qualità dei flussi migratori in ingresso e uscita, di cui la fuga di giovani cervelli è una delle caratterizzazioni. Sono poi in gioco altre variabili, quali la propensione al lavoro manuale e la flessibilità degli orari. Dopo la pandemia si osserva un minore appeal per lavori ad elevata interazione personale o che non consentono forme di smart working, mentre tra le cessazioni dei rapporti di lavoro dipendente in alcuni settori si osserva una crescita delle dimissioni volontarie del lavoratore. Anche le politiche attive poco efficaci influiscono negativamente sull’offerta di lavoro. A tal proposito va ricordato che, sulla base dei dati Anpal, al 30 giugno 2022, su 660.602 percettori del reddito di cittadinanza che dovevano essere presi in carico dai servizi per l’impiego, solo 280.830 mila, pari al 42,5%, sono presi in carico, con la stipula del Patto per il lavoro o con esperienze di tirocinio extracurricolare. Gli effetti legati alle policy si intrecciano con i fenomeni della concorrenza sleale del sommerso e una elevata tassazione del lavoro, a cui è associato un ampio cuneo fiscale. Ognuno di questo temi richiederebbe un singolo approfondimento, nella consapevolezza che l’indicatore del difficile reperimento della manodopera rappresenti la punta dell’iceberg di una società complessa e caratterizzata da turbolento mercato del lavoro”.

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