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Martedì, 16 Aprile 2024
Cultura Acquasparta

“Sta composto”, il galateo per cattolici praticanti: ecco come ci si comporta in chiesa

C’è chi sprofonda nei banchi e chi si fa i selfie durante le processioni: il libro di don Alessandro Fortunati, parroco di Acquasparta, fissa qualche regola

Se vi è capitato di bazzicare qualche chiesa nei momenti clou dell’anno liturgico (Natale e Pasqua) avrete senz’altro notato un particolare: in fondo c’è il pienone, con decine di persone accalcate attorno alla porta, quasi a volersi nascondere così come si faceva a scuola durante l’interrogazione. Davanti c’è il deserto.
Ai più stoici, i fedeli con la maiuscola, non sarà sfuggito un altro comportamento, segno dei tempi: il selfie da processione, magari accanto alla statua del santo.

Leggerezze, si dirà. Che poco o nulla hanno a che vedere con la fede, quella autentica. E invece no. Perché ogni posto ha le sue regole. Anche le chiese.

sta composto-2Sta’ composto! Piccolo galateo per cattolici praticanti” (Tau editrice) è un breve saggio composto da don Alessandro Fortunati, parroco di Acquasparta, che raccoglie un prontuario di buone maniere, un bon ton ecclesiastico, nato dalla constatazione che “anche oggi in chiesa – spiega l’autore - molti si abbandonano agli atteggiamenti più strani, si accasciano nelle pose più comiche, si avviluppano nelle movenze più ridicole proprio mentre vivono il centro della fede cristiana: la santa messa”. E allora, “destinatari di questo ‘galateo’ sono i praticanti, non del tutto scevri da derive in fatto di comportamento e gestualità liturgica, sperando che l’esempio costituisca per tutti la miglior predica”.

Qualche esempio? Se è vero che l’abito non fa il monco, e quindi nemmeno il cristiano, è altrettanto vero che sempre più spesso – soprattutto in estate, ma non solo – si vede entrare in chiesa gente in ciabatte e canottiera, in abiti, diciamo così, poco adatti al rispetto che invece si dovrebbe al luogo sacro. Tralasciando le rigidità proprie di altre religioni, don Alessandro suggerisce che alla santa messa si partecipi vestiti “come per un importante colloquio di lavoro”. E che ci si ricordi di spegnere il cellulare. Sembra scontato, ma non lo è. Così come è piuttosto frequente trovarsi vicini di banco a chiacchieroni, in tutte altre faccende affaccendati fuorché seguire la liturgia.

Magari, impegnati a preparare la colazione o ad allestire tavoli da disegno per i bambini. Ai quali, piuttosto – e spesso con tanta fatica – va fatto capire che quello della messa è un momento di preghiera. E che la chiesa non è un parco giochi. Difficile, difficilissimo. Ma necessario.

don alessandro fortunati-2Poi, suggerisce don Alessandro, quando la celebrazione sta per finire, sarebbe opportuno evitare di precipitarsi in massa fuori dalla chiesa, a volte ancora prima che il sacerdote abbia dato la benedizione. Bisognerebbe invece attendere che la messa si concluda, con il suo canto finale, e poi avvicinarsi all’uscita con calma e rispetto. Il pranzo della domenica può attendere qualche minuto.

Di evitare i selfie in processione è stato già detto. Ma va ricordato che la processione, per chi partecipa, è un momento di riflessione e preghiera non una scampagnata per le vie del borgo, da occupare chiacchierando amabilmente col vicino. Per questo, c’è il bar.

E infine, i funerali. Don Alessandro ritiene che sia poco appropriato rivolgere applausi scroscianti “all’indirizzo della buonanima, come se avesse vinto il gran premio di Monza o una esibizione canora”. A volte - in caso di lutti improvvisi, prematuri o particolarmente strazianti - è quasi un riflesso incondizionato. Ma la Chiesa (stavolta con C maiuscola) sta facendo altro. E serve rispetto.

Il libro fa parte della collana “Celbrare è vivere”, un progetto editoriale che ha come scopo quello di “offrire agili strumenti di riflessione e meditazione su ciò che riguarda il linguaggio dei segni, cioè del comunicare attraverso gesti che, nella loro ripetitività, assumono il carattere del rito. Sappiamo bene che nessuno saluterebbe un bambino con un inchino e dandogli del “lei” (a meno che non voglia improvvisare una piccola innocente farsa) e nessuno si presenterebbe a una prima teatrale in tenuta da ginnastica (a meno che non voglia apparire un contestatore o provocare attraverso il ridicolo), questi due piccoli esempi ci fanno capire che le nostre azioni, anche le più quotidiane, sono permeate di ritualità: hanno una forma che esprime la sostanza delle cose e, d’altra parte, è illogico e impossibile scindere la forma delle cose dalla loro sostanza”.  

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