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In Umbria il virus ha “ucciso” seimila posti di lavoro: tagliola su precari e donne

Il rapporto di Mediacom043, pesa il mancato turnover tra pensionamenti e nuovi subentri. L’emergenza sanitaria fa esplodere l’esercito degli inattivi. La situazione in tutte le regioni d’Italia

“La media degli occupati nei primi mesi 9 mesi del 2020, che sostanzialmente coincidono con l’emersione prima e poi l’esplosione della pandemia, mostra una perdita di 465mila occupati (-2%) rispetto ai primi nove mesi del 2019 nella fascia di età che va dai 15 ai 74 anni. Di questi, il 65,5% sono – o meglio erano - lavoratori dipendenti, mentre il 34,5% è composto dai lavoratori indipendenti (autonomi)”.

Nuovo rapporto dell’agenzia di stampa Mediacom043, diretta da Giuseppe Castellini, che rielaborando i dati dell’Istat, analizza l’evoluzione del mercato del lavoro nei mesi “segnati” dall’emergenza Coronavirus.

Secondo Mediacom, “per i dipendenti, nonostante il blocco dei licenziamenti che, se tolto, secondo alcune stime produrrebbe l’espulsione di 600mila lavoratori, il calo di circa 308mila unità nei primi 9 mesi del 2020 deriva sostanzialmente da due fattori: il mancato rinnovo di contratti a tempo in scadenza e il mancato turnover tra pensionamenti e subentri. A pagare il prezzo sono stati, quindi, quei dipendenti caratterizzati da contratti precari. In sostanza, le fasce più deboli del mercato del lavoro. Ma sotto la punta dell’iceberg ribolle un mondo del lavoro sempre più fragile e a rischio, sul quale pende la tagliola della fine del blocco dei licenziamenti” che – secondo una recente stima di Ires Cgil, per l’Umbria potrebbe portare al “taglio” di 30mila posti di lavoro.

A proposito della situazione dell’Umbria, i dati elaborati da Mediacom evidenziano che a fronte dei 360mila occupati rilevati nel periodo gennaio-settembre 2019, quelli registrati nello stesso periodo del 2020 sono stati 353mila, per una diminuzione di circa 6mila unità, pari all’1,8% del totale nazionale. Più ancora nel dettaglio, a perdere il lavoro sono stati 4mila uomini (-2,2%) e 2mila donne (-1,2%).

Il “buco” dell’occupazione non si traduce per l’Umbria - così come in genere per il resto dell’Italia - in una esplosione delle persone in cerca di un posto di lavoro. Paradossalmente, anzi, i disoccupati in Umbria passato da 34mila a 32mila. Ma cresce l’esercito degli inattivi che dai 371mila del periodo gennaio-settembre 2019 passa a quota 379mila (+8mila) nello stesso lasso di tempo ma dello scorso anno. 

Le regioni che, complessivamente, in termini percentuali hanno perso più occupati sono Calabria (-30mila occupati, -5% rispetto ai primi nove mesi del 2019), Sardegna (-24mila, -4,1%), Campania (-45mila, -2,8%), Lazio (-62mila, -2,8%) e Valle d’Aosta (-mille occupati, -2,5%).

Nessuna regione mostra il segno più, solo il Friuli Venezia Giulia è in pareggio. Quelle che in percentuale hanno perso meno occupati, oltre al Friuli che come detto resta stabile, sono Puglia (-1,1%), Toscana (-1,1%), Molise (-1,2%) e Basilicata (-1,5%).

Sono le donne a pagare il prezzo più alto del calo dell’occupazione, esattamente il doppio rispetto agli uomini. In Italia, nei primi 9 mesi del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019 sono scomparse 273mila occupate (-2,8%), contro -192mila occupati uomini (-1,4%).

Tutto ciò accade perché una maggiore quota del lavoro femminile, rispetto a quello maschile, mostra marcate precarietà, marginalità e fragilità e in fasi di crisi sconta gli effetti più pesanti. Soprattutto nel Mezzogiorno, dove la flessione del lavoro femminile è del 4,1% (-93mila occupate), oltre il doppio della media nazionale (-2,8%). Segue il Centro, con una contrazione del lavoro femminile del 3,2%, superiore alla media nazionale. Il calo percentuale minore, invece, nel Nord-Ovest (-1,6%), che peraltro è l’unica circoscrizione dove l’occupazione maschile scende più di quella femminile.

Quanto ai divari tra la flessione degli occupati e quella delle occupate, quelli più ampi a sfavore delle donne si registrano in Campania (occupati -1,3%, occupate -5,3%) e Sicilia (rispettivamente -0,4% e -4,4%). Forte divario a sfavore della donne anche in Abruzzo (divario di 3,7 punti percentuali) e Toscana (divario di 2,8 punti percentuali, con l’occupazione maschile che cresce dello 0,2% e quella femminile che scende del 2,6%).

In Piemonte, Valle D’Aosta, Liguria, Lombardia, Trentino Alto Adige, Umbria e Molise, invece, l’occupazione maschile cala più di quella femminile, con il Molise che evidenzia un gap a sfavore degli uomini di ben 6,2 punti percentuali.

Ma il conto degli effetti della pandemia nei primi 9 mesi del 2020 è stato salato anche per i lavoratori indipendenti (autonomi) che sono scesi di 162mila unità rispetto ai primi 9 mesi del 2019. Il calo medio nazionale è del 3%, rispetto al -1,7% dei lavoratori dipendenti (molti dei quali protetti, come detto, dal blocco dei licenziamenti). I ristori del Governo non sono bastati ad evitare questa flessione, che a livello di circoscrizioni trova i suoi picchi nel Nord-Est (-4,2%), in particolare in Veneto che segna -7,4% e nel Nord-Ovest (-3,6%). Male anche il Centro (-3,2%), dove va segnalato il -6,9% delle Marche. Minore il calo dell’occupazione indipendente nel Mezzogiorno (-1,5%), dove Abruzzo (+5,2%), Basilicata (+2,3%) e soprattutto Sardegna (+10,8%) mostrano un aumento dell’occupazione degli autonomi, mentre in Calabria è un crollo verticale. Ma, almeno per Abruzzo e Sardegna, vista la contemporanea forte caduta dell’occupazione dipendente (-8,7% in Sardegna e -4% in Abruzzo), potrebbe trattarsi di un trade-off, ossia dell’approdo al lavoro autonomo da parte di dipendenti che hanno perso l’occupazione.

In assoluto, i cali maggiori del lavoratori autonomi si registrano in Valle d’Aosta (-10,6%), Calabria (-9,9%) Veneto (-7,4%), Marche (-6,9%)e Piemonte (-6,8%).

Sul fronte dei lavoratori dipendenti, le flessioni più marcate si registrano in Sardegna (-8,7%), Calabria (-4,1%), Abruzzo (-4%), Campania (-2,8%) e Basilicata (-2,7%). Dati che portano il Mezzogiorno a marcare -2,7% (-23mila occupati) nel calo dell’occupazione dipendente, oltre un punto sopra la media nazionale (-1,7%) e il valore più elevato tra le circoscrizioni italiane.

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