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Così il virus “contagia” l’economia dell’Umbria: ecco i settori più colpiti, si rischia una emorragia da 2,2 miliardi

Lo studio di Agenzia Umbria Ricerche sull’impatto del Covid19: turismo, ristorazione e metallurgia tra i comparti che più subiranno la crisi che seguirà all’emergenza sanitaria

La fase due ha riacceso i motori. Eppure l’Umbria, così come l’Italia e il resto del mondo, dovranno affrontare una salita molto pesante per superare la crisi economica innescata dall’emergenza Covid19. Una fotografia a tinte fosche quella scatta da Elisabetta Tondini e Mauro Casavecchia, ricercatori di Agenzia Umbria Ricerche, che cercano di ridisegnare i contorni dello shock economico post-pandemia, fissando alcuni paletti.

Uno, in particolare, rileva che – pur all’interno di una situazione comunque molto grave – “il calo umbro sarebbe, in entrambi gli scenari, lievemente inferiore a quello nazionale. Ciò a causa della peculiare articolazione settoriale regionale che contempla una minore incidenza di alcuni tra i settori che subiscono un impatto più grave – come ad esempio la fabbricazione dei mezzi di trasporto e i servizi di trasporto – e un peso più rilevante dei comparti meno colpiti dalla crisi, a partire da sanità, istruzione, agricoltura e industria alimentare”.

Gli altri servono invece a capire i margini entro i quali delimitare le proiezioni. “Mentre le precedenti stime riguardavano la contrazione del valore aggiunto limitatamente al primo semestre 2020 – spiegano i ricercatori di Aur - le attuali elaborazioni provano a spingere l’orizzonte temporale fino alla fine dell’anno in corso. Anche in questo caso l’impatto viene valutato sulla base di due diversi scenari di evoluzione della situazione emergenziale, che tengono comunque conto del protrarsi del blocco delle attività e delle attuali difficoltà della fase di ripartenza”.

Lo scenario più favorevole prevede “una progressiva riapertura delle attività economiche a partire da maggio in un contesto di contenimento della diffusione del contagio. Si ritorna gradualmente alla normalità, mantenendo misure di precauzione sanitaria che evitano il ripetersi di blocco totale delle attività. Il ciclo economico riprende lentamente, scontando comunque importanti effetti negativi nella domanda interna ed estera”.

Nello scenario meno favorevole, invece, “l’epidemia si protrae anche nel secondo semestre, emergono nuovi focolai cui corrispondono ulteriori periodi di lockdown intervallati da riaperture. Il perdurante clima di incertezza e instabilità del contesto nazionale e internazionale frena consumi e investimenti e ritarda la ripresa del ciclo economico”.

Tra le premesse, rientrano anche i criteri attraverso i quali si è calibrato lo studio, ossia il “lavoro di rielaborazione di alcune recenti valutazioni su base nazionale pubblicate da vari analisti, tra cui principalmente Cerved e Confindustria, nel quadro di riferimento generale di calo del Pil ipotizzato da Cerved (tra -8,2 e -12 per cento per il 2020) e coerente con quanto riportato dal Documento di economia e finanza (-8 per cento) e con le stime di Banca d’Italia (-9 per cento)”.

Il cuore della ricerca cerca dunque di individuare quali saranno i settori per cui la “convalescenza” da Covid sarà più lunga e pesante. “Tra i settori più gravemente colpiti, con variazioni di valore aggiunto stimate tra il -9 e il -38,3 per cento – scrivono Tondini e Casavecchia - figurano, tra gli altri, le attività collegate al turismo e alla ristorazione, i trasporti, le attività artistiche e di intrattenimento, le costruzioni e, all’interno della manifattura, i comparti della metallurgia, dei mezzi di trasporto e del tessile-abbigliamento. Nel complesso, la classe dei settori che subiscono un impatto da Covid19 ‘molto negativo’ genera il 43,4 per cento del valore aggiunto regionale”.

La classe a impatto “negativo” (elettronica, gomma e plastiche, legno e carta, commercio, energia, acqua e rifiuti, informazione e comunicazione, industria estrattiva) con un range tra il -4,4 e il -12,5 per cento, ne produce il 22,5 per cento; quella a impatto “poco rilevante”, oscillante tra lo zero e il -3,3 per cento (agricoltura, alimentari, pubblica amministrazione, istruzione, servizi finanziari e assicurativi, attività amministrative) concentra il 26,8 per cento di valore aggiunto. Il restante 7,3 per cento è rappresentato da due settori, sanità e industria chimico-farmaceutica, gli unici per i quali si prevede una variazione positiva, fino all’1,9 per cento.

“Sulla base di queste stime settoriali – è la conclusione di Aur - la contrazione complessiva dell’attività economica in Umbria nel 2020 potrebbe oscillare tra il -7,4 per cento nello scenario meno grave e il -11,1 per cento nello scenario peggiore. In termini monetari, ciò corrisponderebbe a un decremento del valore aggiunto tra 1,5 e 2,2 miliardi di euro”.

“Naturalmente – avverte però lo studio - si tratta di stime fortemente aleatorie, formulate in presenza di uno scenario molto fluido: intanto perché non è possibile prevedere l’evoluzione del contagio – in Italia e nel resto del mondo – né le conseguenze sull’andamento della domanda globale e le sue ripercussioni sull’economia italiana e umbra; per di più, è ancora prematuro immaginare quali saranno le reazioni di cittadini e imprese nei loro comportamenti di consumo e investimento, a loro volta fortemente condizionati anche dal grado di efficacia delle politiche economiche adottate per contrastare la crisi”.

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