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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Umbria, frode fiscale nel settore dei carburanti: in cinque agli arresti domiciliari. Sequestri per oltre 15 milioni di euro

Il gip di Perugia: “Commistione di interessi e coinvolgimento nel settore investigato di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata di stampo mafioso in contatto con alcuni degli odierni indagati”

L'ombra della criminalità organizzata si allunga, ancora una volta, sull'Umbria. Cinque persone sono infatti finite agli arresti domiciliari. Il Gruppo d’Investigazione sulla Criminalità Organizzata del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria e personale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Perugia, su delega della Procura, ha eseguito anche un sequestro preventivo di somme di denaro, beni mobili ed immobili, compendi aziendali e depositi petroliferi (a carico di dodici persone fisiche e sette società) per un ammontare di oltre 15 milioni di euro. Ritenuto fondato l’impianto accusatorio formulato dal pubblico ministero, all’esito delle articolate indagini di polizia giudiziaria, le misure sono state disposte dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia, sussistendo il pericolo di reiterazione dei reati ed evidenziando la: “Commistione di interessi ed il coinvolgimento nel settore investigato di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata di stampo mafioso in contatto con alcuni degli odierni indagati”.

Nel mirino degli inquirenti sono finiti i componenti di un sodalizio operante nel settore della commercializzazione dei carburanti per autotrazione, mediante una serie di società dislocate sull’intero territorio nazionale, nei cui confronti sono emersi indizi di colpevolezza per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale, mediante l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, e trasferimento fraudolento di valori. L’attività investigativa trae origine da autonome attività di analisi, elaborate dalla Guardia di Finanza e dall’ADM ed aventi ad oggetto le transazioni economiche poste in essere, a partire dall’inizio dello scorso anno, da operatori dello specifico settore, particolarmente esposto a rischi di frode, a tutti i livelli della filiera commerciale, dall’approvvigionamento alla distribuzione, e spesso oggetto di attrazione per gli affari illeciti della criminalità organizzata.

Lo sviluppo delle indagini, condotte mediante l’ausilio di intercettazioni telefoniche, interrogazione di banche dati, acquisizione ed esame di documentazione amministrativa, contabile e bancaria, ha consentito di individuare un sistema di evasione dell’imposta sul valore aggiunto incentrato su due depositi petroliferi ubicati in provincia di Perugia e riconducibili, l’uno ad un imprenditore umbro, l’altro ad un pregiudicato calabrese - già sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, in quanto ritenuto contiguo ad una cosca di ‘Ndrangheta - il quale risulterebbe promotore ed organizzatore dell’associazione. Nell’ambito del contesto associativo, un ruolo importante è stato, altresì, rivestito da un pregiudicato campano, attualmente detenuto, già coinvolto in altre indagini riguardanti clan camorristici con interessi nel settore del commercio di prodotti petroliferi, nonché da un imprenditore siciliano emerso in precedenti contesti investigativi.

Il meccanismo fraudolento si è rivelato articolato secondo il classico schema della “frode carosello”. 
Nel dettaglio, il prodotto petrolifero di provenienza unionale giungeva da un deposito costiero veneto alle società perugine, autorizzate ad operare come “destinatari registrati”, qualifica che consente di ricevere il prodotto in sospensione delle accise e dell’imposta sul valore aggiunto e di effettuare cessioni, senza applicazione dell’IVA, ma solo ad operatori commerciali in possesso di requisiti di affidabilità e dietro presentazione di polizze fideiussorie a garanzia del pagamento dell’imposta.

Presso i depositi delle società umbre, il carburante veniva “nazionalizzato”, assoggettato, cioè, ad accisa e, contestualmente, ceduto ad una serie di società “cartiere”, senza addebito dell’IVA, pur se le stesse erano evidentemente prive dei prescritti requisisti di affidabilità e a fronte di polizze fideiussorie false.
A loro volta, le società cartiere - mere scatole vuote fittiziamente interposte nelle transazioni commerciali - rivendevano il prodotto a clienti terzi con addebito dell’imposta, che veniva incassata ma non versata all’Erario. La sistematica evasione dell’Iva consentiva l’immissione sul mercato dei prodotti petroliferi a prezzi “fuori mercato”.

Inoltre, nei confronti di alcuni degli indagati, già destinatari di provvedimenti restrittivi emessi nell’ambito di precedenti procedimenti penali nonché di misure di prevenzione, sono emersi gravi indizi di colpevolezza in ordine alla fattispecie delittuosa di cui all’articolo 512-bis del codice penale (Trasferimento fraudolento di valori), perché, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale e, quindi, sottrarre il proprio patrimonio ad eventuali provvedimenti ablativi, hanno, nel tempo, compiuto una serie di atti ed operazioni di fittizia interposizione, operando quali soci occulti ed amministratori di fatto all’interno di società formalmente intestate a prestanome. Infine nei confronti di sette società sono emersi profili di responsabilità “amministrativa”, ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001, per i reati commessi nel loro interesse e a loro vantaggio da soggetti che, al loro interno, hanno rivestito funzioni di rappresentanza, amministrazione e direzione.

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