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SANITA' | Umbria, la medicina sul territorio come cambia con il Pnrr: medici, case di cura, infermieri comunità

Il Piano regionale al setaccio. Dall'opposizione il consigliere Fora evidenzia punti di debolezza e risorse spesso utilizzate male

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Regolamento per la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nell’ambito del Servizio sanitario nazionale (Dm 77) e la sottoscrizione dei Contratti istituzionali di sviluppo (Cis) tra il Ministero della Salute e ciascuna Regione e Provincia Autonoma, sono stati raggiunti due importanti traguardi previsti nella Missione 6 salute del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) per rendere sempre più efficace il nostro Sistema Sanitario Nazionale (Ssn), con l'obiettivo di garantire equità di accesso alle cure, nonché rafforzare la prevenzione e i servizi sul territori 

I fondi e i progetti previsti dal Pnrr avrebbero la potenzialità di ridurre alcuni gap storici, come quello dell’assistenza territoriale in alcune aree del Paese. L’analisi curata da Cittadinanzattiva ha utilizzato dati ufficiali forniti dal Ministero della Salute relativi al 2020, riguardo alle figure sanitarie attualmente impiegate: pediatri di libera scelta, medici di medicina generale, ginecologi, cardiologi e farmacisti (questi ultimi tre, nello specifico in ambito ospedaliero) per ciascuna provincia italiana. Di conseguenza si analizza quante Case (CdC) e Ospedali di Comunità (OdC) si prevede di realizzare nelle aree interne del paese dove la carenza di personale sanitario è più marcata.

Ma i risultati che ne emergono non sono incoraggianti: su 1431 Case della Comunità, 508 - pari al 35,5% - sono previste nelle Aree Interne, ma solo una piccola parte - 233, pari al 16,3% - andranno a beneficio delle aree periferiche ed ultra periferiche, dove vivono oltre 5 milioni di italiani. Analogamente, su 434 Ospedali di Comunità, 163 - pari al 37,6% - sono previsti nelle Aree Interne, ma solo una piccola parte – 74, pari al 17,1% - andranno a beneficio delle aree interne periferiche ed ultra periferiche.
Emerge inoltre che le 39 province che presentano il rapporto più alto persone/personale non corrispondono con le province destinatarie del maggior numero di Case & Ospedali di Comunità. Per ben 654.883 italiani che vivono in queste aree interne periferiche o ultra periferiche di 7 Regioni, non è previsto alcun nuovo Ospedale di Comunità: tra queste c'è anche l'Umbria.

La situazione in Umbria. A livello regionale abbiamo 865.452 persone abitanti nel territorio suddiviso in 92 comuni. I comuni sono stati a loro volta divisi in centri e aree interne. I centri sono suddivisi a loro volta tra: Polo (A), Polo intercomunale (B), Cintura (C). Le aree interne invece si dividono fra: Intermedio (D), Periferico (E) e Ultraperiferico (F). La maggioranza dei comuni rientra nella categoria Cintura (sono ben 39/92 - per una popolazione di 238.998); segue la categoria Intermedio (33 corrispondente ad una popolazione di 148.330). Del tutto assenti le categorie Polo intercomunale e Ultraperiferico. Soltanto 5 sono i comuni che rientrano nella categoria Polo e interessano 385.379 persone. Per la provincia di Perugia, le Case di Comunità sono 12, di cui 2 per le aree Intermedie e 4 per le Periferiche; per la provincia di Terni 5. Gli Ospedali di Comunità invece rispettivamente 3, di cui 1 per le aree Intermedie, e 2 nel ternano.

Dai dati emerge inoltre che ci sono: 729 medici di medicina generale (415 nella provincia di Perugia e 314 in quella di Terni). Per ogni medico ci sono 1.362 persone sopra i 15 ani di età nel perugino e 631 nel ternano. 110 pediatri di libera scelta (65 nel perugino e 45 nel ternano). Il rapporto tra numero di pediatri e minori di un'età compresa tra 0 e 15 anni è di 1.252 nel perugino e 560 nel ternano. In questo caso la nostra regione rientra nella top 10 - collocandosi in 8° posizione - per il numero più alto di bambini ogni singolo pediatra. 86 ginecologi ospedalieri (64 nel perugino e 22 nel ternano). C'è un ginecologo ospedaliero ogni 4.830 donne con più di 10 anni di età nella provincia di Perugia e 4.934 per la provincia di Terni; 128 cardiologi ospedalieri (rispettivamente 100 e 28) pari a uno ogni 5.653 pazienti nel perugino e 7.081 nel ternano; infine 23 farmacisti ospedalieri (con 17 e 6), uno ogni 38.042 persone nella provincia di Perugia e 37.243 nel ternano.

Ma cosa prevede la nuova organizzazione? Al centro della nuova organizzazione continuerà ad essere il Distretto: 1 ogni 100 mila abitanti con il compito di perseguire l’integrazione tra le diverse strutture sanitarie del proprio territorio di riferimento ed assicurare una risposta coordinata ai bisogni dei cittadini. Il Distretto dovrebbe quindi garantire una risposta assistenziale integrata ottimizzando le risorse, gli strumenti e le competenze professionali per una efficace presa in carico.

Il Distretto si articola sul proprio territorio in: Case di Comunità (CdC) divise in hub (nodi) e spoke (raggio): CdC Hub: uno ogni 40-50 mila abitanti, operativi h 24, 7 giorni/7 con la presenza di medici, infermieri, un assistente sociale, operatori socio-sanitari e personale amministrativo; vi è presente un punto prelievi, un punto Cup, servizi diagnostici (ecografia, ECG, spirometria…) e servizi ambulatoriali specialistici (cardiologo, pneumologo, diabetologo…). Di particolare importanza il Pua (Punto Unico di accesso) sanitario e sociale - evidente tentativo di unificare sul territorio i vari servizi alla persona, sia sanitari che sociali - . Continua tuttavia a non essere prevista la quota di assistenza psicologica particolarmente importante in questi momenti di grave disagio sociale e psicologico. CdC spoke: sostanzialmente coincidono con gli ambulatori dei medici di famiglia e dei pediatri che verrebbero così messi in rete ed organizzati funzionalmente per garantire anche una presenza più continua.  Ospedale di Comunità (OdC): un ospedale con 20 posti letto ogni 100 abitanti: strutture di ricovero breve, con funzioni intermedie tra domicilio e ricovero ospedaliero, con lo scopo di evitare ricoveri impropri e di favorire dimissioni protette. Una struttura a bassa intensità di cura con assistenza quasi esclusivamente infermieristica; il medico dovrebbe essere presente solo per alcune ore dal lunedì al sabato.

Centrale Operativa Territoriale (Cot): uno ogni 100 mila abitanti con funzioni di ascolto e coordinamento a cui rivolgersi per tutte le prestazioni sanitarie e sociali di competenza territoriale. La Cot è sede operativa del nuovo Numero Europeo Armonizzato (Nea) 116.117. E’ un servizio telefonico gratuito attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

Rete delle Cure Palliative articolata in:
Unità di Cure Palliative Domiciliari (Ucp-Dom): uno ogni 100 mila abitanti
Hospice: almeno 8-10 posti letto per 100 mila abitanti.

Consultori familiari:
uno ogni 20 mila abitanti o uno ogni 10 mila abitanti per le zone interne e rurali.
Infermiere di famiglia e comunità:
uno ogni 3 mila abitanti. Una figura nuova con compiti prevalente di collaborazione con tutti i professionisti presenti nel territorio e con una missione orientata alla gestione “proattiva” della salute.
Farmacie:
da semplici dispensatori di farmaci e presidi potenziano il ruolo di presidi sanitari di prossimità - come già avvenuto durante la pandemia e nel post pandemia con le vaccinazioni - dove si attivano o vengono ampliati altre importanti funzioni (tra le quali Cup, vaccinazioni, farmacovigilanza) che possono rientrare nel ruolo di “farmacia dei Servizi”.

“I dati di una ricerca di Fadoi, la società scientifica dei medici di medicina interna, mostrano chiaramente che il problema in sanità non sono solo i soldi pubblici mancanti, ma il fatto che vengono spesi male. Oltre un miliardo e mezzo di euro all’anno di spesa che ricade indebitamente sulla sanità pubblica a causa delle carenze del sistema di assistenza sociale, ma anche dei servizi territoriali sanitari poco attrezzati alla presa in carico di questi pazienti”. Lo evidenzia il consigliere regionale umbro Andrea Fora (Patto civico) spiegando che “il 75,5% dei pazienti anziani rimane impropriamente in ospedale perché non ha nessun familiare o badante in grado di assisterli in casa, mentre per il 49% non c’è possibilità di entrare in una Rsa. Il 64,3% protrae il ricovero oltre il necessario perché non ci sono strutture sanitarie intermedie nel territorio mentre il 22,4% ha difficoltà ad attivare l’Adi, l'assistenza domiciliare integrata”.

È diventata la normalità che nei pronto soccorso - della nostra regione come purtroppo a livello nazionale - si vedano anche per giorni pazienti "parcheggiati" nei corridoi perchè non c'è posto in reparto. Consideriamo inoltre che la metà dei ricoveri riguarda pazienti over 70 e di questi più del 50% restano in reparto circa una settimana in più del necessario, visto che non hanno un familiare che possa assisterli e che nemmeno possiedono una pensione così ricca da potersi pagare i circa duemila euro di retta mensile per una Rsa. Per non parlare del fatto che nella gran parte dei casi mancano strutture sanitarie intermedie nel territorio, e che in un caso su quattro si ha difficoltà ad attivare l’assistenza domiciliare integrata (Adi). Il costo medio di una giornata di degenza, pari a 712 euro secondo i dati dell' Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), fanno in totale un miliardo e mezzo l’anno di spesa che si sarebbe potuta investire in vera assistenza sanitaria.

“Il nuovo piano sanitario umbro - aggiunge Fora - scommette sugli ospedali di comunità, luoghi dove dovrebbero essere assistiti quei pazienti che non necessitano più del ricovero ordinario ma che nemmeno possono essere assistiti in casa. E parla di appropriatezza, riduzione ricoveri e meno accessi al Pronto soccorso. Ma è un film già visto. Per esempio, il collegamento casa-territorio-ospedale-post acuzie-riabilitazione-casa dovrebbe essere ben precisato con regole d’ingaggio strette e rigorose. Di medicina di territorio non si parla neanche. Di potenziare l’assistenza domiciliare non c’è traccia. Di riorganizzare l’offerta residenziale sociosanitaria per lungodegenti favorendo l’integrazione pubblico privato in strutture di piccole dimensioni che ricreino ambienti familiari neanche un accenno. Rafforzare il territorio non vuol dire ricreare strutture o altri ospedali, ma intervenire sulla rete dei servizi, rafforzare il rapporto tra medici di base e terzo settore, valorizzare il ruolo delle farmacie, della cooperazione sociale. Mettere in rete ciò che esiste piuttosto che creare altri snodi burocratici. Ma di tutto ciò - conclude l’esponente dell’opposizione consiliare - il piano sanitario umbro non parla minimamente. E continuiamo a spendere male soldi pubblici per curare i nostri anziani in ospedale quando si potrebbe favorire e migliorare la loro condizione in luoghi più idonei e più confortevoli. Ecco perché va riscritto il piano sanitario”.
 

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