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Perugia, morto per un ago nei polmoni: la perizia scagiona medici e infermieri

Il paziente doveva sottoporsi a un intervento chirurgico, ma già durante le operazioni di anestesia si erano palesate delle complicazioni che avevano poi portato al decesso

Il decesso di un paziente per un ago da insulina nei polmoni, scoperto prima di un intervento chirurgico, non è riconducibile alle azioni del personale medico che ebbe “modo di prestare assistenza” all’uomo e che “fu pienamente rispettoso delle linee guida e delle buone pratiche mediche”.

La perizia stilata dal medico legale Massimo Lancia e dallo specialista in anestesia Andrea Arcangeli scagiona i due otorinolaringoiatri, i due anestesisti e i due infermieri indagati assistiti dagli avvocati Maria Bruna Pesci, Giancarlo Viti, Melissa Cogliandro, Ilario Taddei e Riccardo Fasi.

L’uomo era entrato in sala operatoria per un intervento chirurgico a Otorinolaringoiatria il 22 aprile, prima dell’inizio dell’operazione e dopo che era stato sottoposto all’anestesia, il medico anestesista si è accorto dell’insorgere di alcune complicazioni e l’operazione è stata fermata. Dagli accertamenti è emersa la presenza di un ago, del tutto simile a quelli da insulina nei polmoni e una embolia in corso. Trasferito in Rianimazione, l’uomo è deceduto il 26 aprile.

La Procura aveva disposto l’autopsia e una perizia.

Secondo i due periti è da “escludere con assoluta certezza che l’ago sia migrato a livello bronchiale in occasione delle manovre di induzione dell’anestesia” o “durante tutte la fasi preliminari dell’intervento effettuato prima dell’anestesia”.

Nelle manovre anestesiologiche o di intubazione endotracheale, infatti, “non è mai previsto l’impiego di una siringa da insulina dotata di ago” e appare “Improbabile se non addirittura impossibile, che durante la manovra di induzione dell’anestesia e dell’intubazione endotracheale una siringa da insulina dotata di ago possa essere stata introdotta nella cavità orale e che l’ago possa essere stato inalato dal paziente in quell’occasione”.

Per i periti “Non esistono dubbi che quando il paziente entrò in sala operatoria l’ago da insulina fosse già nel bronco” e dagli accertamenti risulterebbe “inequivocabilmente che questo fosse presente da molto tempo in quella sede”.

La relazione conclude, quindi, per l’esclusione che “il decesso possa essere messo in relazione con i preliminari eseguiti nella sala operatoria prima dell’intervento”.

La presenza dell’ago nel polmone, però, è individuato come causa del decesso, avendo prodotto “una evidente reazione infiammatoria”. Anche se poi le cause del decesso sono da “ricondursi a una grave insufficienza respiratoria acuta secondaria ad una polmonite, favorita dalla presenza di un corpo estraneo localizzato nel bronco sinistro in un paziente affetto da molteplici patologie tra cui epatite cronica da Hcv, asma bronchiale, epilessia, obesità”.

Come c’è finito un ago nei bronchi? Secondo i periti, anche sulla base degli esami tossicologici, che hanno evidenziato “la presenza di cocaina (1,19 ng/mg) e benzoilecgonina (0,001)” ci sarebbe la certezza che il paziente “nei 6-7 mesi precedenti avesse assunto cocaina”. Il medico legale avrebbe trovato tracce di “un’area ecchimotica localizzata nell’area inferiore della lingua, segno molto suggestivo di dito di iniezione”.

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