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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Umbria: violenza sulle donne, boom di chiamate al 1522 a partire dall'inizio della pandemia

A solo un mese dall'inizio del lockdown, con picchi ad aprile (+176,9% rispetto allo stesso mese del 2019)

Nel 2020 le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking, sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019, sia per telefono (15.128), sia via chat (2.361, con un incremento del 71% rispetto all'anno precedente). E' quanto emerge dall'ultimo rapporto dell'Istituto Nazionale di Statistica (Istat).

Il boom di chiamate al 1522 si è avuto a partire da fine marzo, a solo un mese dall'inizio del lockdown, con picchi ad aprile (+176,9% rispetto allo stesso mese del 2019) e a maggio (+182,2% rispetto a maggio 2019), ma soprattutto in occasione del 25 novembre, la giornata in cui si ricorda la violenza contro le donne, anche per effetto della campagna mediatica. Sebbene rappresenti una costante negli anni, nel 2020 questo stimolo è stato decisamente più significativo poiché, nella settimana tra il 23 e il 29 novembre, le chiamate sono più che raddoppiate (+114,1% rispetto al 2019).

La violenza segnalata è soprattutto fisica (47,9% dei casi), ma quasi tutte le donne hanno subìto più di una forma di violenza e tra queste emerge quella psicologica (50,5%). Sono purtroppo aumentate rispetto agli anni scorsi le richieste di aiuto delle giovanissime fino a 24 anni di età (11,8% nel 2020, il 2% in più del 2019) e delle donne con più di 55 anni (23,2% nel 2020, con un +4,3% rispetto al 2019).

Sono aumentate le violenze da parte dei familiari (18,5% nel 2020 contro il 12,6% nel 2019) mentre sono stabili le violenze dai partner attuali (57,1% nel 2020). Le richieste di aiuto arrivano principalmente nei primi giorni della settimana per decrescere dal giovedì in poi e, come fascia oraria, si intensificano dalle 9 alle 17. Questo andamento non cambia negli anni ed evidenzia la ricerca del contatto lontano dal controllo e dalla presenza di altri familiari in casa. La casa si conferma il luogo principale della violenza. A rafforzare ulteriormente la connotazione della violenza domestica è il fatto che circa la metà delle vittime (40,8%) è coniugata.

“Un quadro a tinte fosche – osservano i consiglieri regionali del Partito democratico (Pd), Simona Meloni, vice presidente Assemblea legislativa, e Tommaso Bori, capogruppo – che impone una seria e attenta analisi, per una programmazione scrupolosa del post pandemia. Dopo oltre un anno di chiusure, le ferite rischiano di essere state profonde soprattutto nella società e nelle famiglie. Le Istituzioni tutte, a partire dalla Regione, devono avere la consapevolezza di ciò. Comportamenti che mettano a rischio dunque le strutture di supporto esistenti sul territorio, come i Centri anti violenza, sono profondamente sbagliati”.

Nei primi 5 mesi del 2020 infatti sono state 20.525 le donne che si sono rivolte ai Centri anti violenza (Cav): per l’8,6% la violenza ha avuto origine da situazioni legate alla pandemia. L’incremento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, non è importante (+1,1%), ma sul territorio le differenze sono rilevanti: si va da +41,5% di donne accolte nelle Isole, a +21,1% al Sud a +5,4% del Centro e +5,2% del Nord-est fino al calo registrato nel Nord-ovest (-16,4%).

Dopo il calo di utenze, in corrispondenza del lockdown di marzo 2020, i Centri hanno trovato nuove strategie di accoglienza (il 78,3%). Solo 6 cav hanno dovuto interrompere l’erogazione dei servizi. Essenziale è stato il ruolo della rete territoriale anti violenza per supportare i Centri nel loro lavoro. Nella maggioranza dei casi (95,4%) i cav hanno supportato le donne tramite colloqui telefonici, nel 66,5% dei casi hanno utilizzato la posta elettronica mentre nel 67,3% i colloqui sono stati in presenza nel rispetto delle misure di distanziamento.

Per quanto riguarda le Case rifugio, nei primi 5 mesi del 2020 sono state ospitate 649 donne, l’11,6% in meno rispetto ai primi 5 mesi del 2019. Le Case hanno, infatti, segnalato più difficoltà dei cav a organizzare l’ospitalità delle donne e a trovare nuove strategie (55,3% dei casi). Per il 6% delle donne accolte, le operatrici hanno segnalato che è stata la pandemia ad avere rappresentato la criticità da cui ha avuto origine la violenza.

I principali centri anti violenza della regione sono nati dal progetto “Umbria Antiviolenza” e sono il cav “Catia Doriana Bellini” di Perugia e il cav “Liberetutte” di Terni.Il centro antiviolenza residenziale di Perugia ha accolto più di 260 donne nell’anno 2020, e circa 50 donne nei primi tre mesi del 2021. Dal 2014 ad oggi ha accolto oltre 1800 donne e ospitato 152 donne ospiti e 164 minori. I dati fanno emergere come una donna su tre è vittima di violenza. Solo nei primi mesi del 2021, in Umbria sono state uccise 13 donne. I femminicidi dal 2011 sono 984.

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