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Regione, tutto in dieci giorni: le dimissioni di Marini innescano strategie e ripicche

Rinviata la discussione a Palazzo Cesaroni, si torna in aula “entro il 18 maggio”. Le scelte nelle mani del Partito democratico: ecco cosa sta succedendo. L’opposizione: spulceremo ogni atto

Una vita (politica) condensata in dieci giorni. O poco più. Il consiglio regionale decide di non decidere sulle dimissioni presentate dalla presidente della Regione, Catiuscia Marini, e rinvia di (almeno) dieci giorni la discussione. Innescando le ire delle opposizioni (“sta crollando tutto, solo loro non vogliono rendersene conto”) e manifestando gli strappi e le tensioni che continuano a governare il Partito democratico.

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Ufficialmente, l’assemblea legislativa ha approvato (11 sì e 8 no) la proposta della maggioranza di aggiornare ad una “apposita seduta da prevedere entro il 18 maggio” la discussione “sulla proposta di risoluzione (formalizzata dai gruppi Pd, SeR, Misto-Articolo 1/MdP, Misto - Liberi e Forti) con cui si invita la presidente della giunta regionale a recedere dalle dimissioni ai sensi dell’art. 64, comma 3 dello Statuto regionale”.

Dietro le quinte la situazione è però piuttosto articolata e, soprattutto, non si risolve con la “questione” dimissioni. L’accordo e i numeri per respingere subito le dimissioni di Marini non ci sono. Si tratta, probabilmente anche tenendo conto delle prossime scadenze elettorali. E ci sono da regolare questioni interne al Partito democratico (il consigliere regionale di FI, Roberto Morroni, durante la seduta ha parlato di “congresso del Pd in Aula”) che determinano lo svolgimento dei lavori.

Sullo sfondo si staglia la modalità con cui i dem, a livello nazionale ma non solo, hanno gestito le dimissioni della presidente. Il tema del garantismo e del giustizialismo, evocato da Marini nella sua lettera, non è soltanto una questione politica, ma diventa tornaconto elettorale. Se, insomma, dalle urne di fine maggio il Pd uscirà con le ossa rotte, ci sarà da capire a quale delle due correnti potrà essere affibbiata la responsabilità.

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Ma, nel frattempo – così dicono le voci del palazzo – c’è da fare i conti con le elezioni. “Non mi fido di chi cerca qualche spazietto”, ha scritto Marini nel suo documento. E forse, proprio di “spazietti” si tratta. Perché decidere di non decidere lascia a tutti qualcosa in mano. Almeno una carta da giocare per ritagliare un ruolo, una nomina, un incarico nei prossimi assetti istituzionali che nasceranno nel post-voto.

E poi, aspettando le urne, la giunta regionale resta nella sua piena operatività. “Controlleremo ogni singolo atto”, dicono le opposizioni che hanno visto come fumo negli occhi non solo la proposta di tornare in aula addirittura dopo gli eventuali ballottaggi di inizio giugno (il 9), ma anche la proposta di rinviare la discussione di dieci giorni.

Chi sta con chi? Difficile dirlo. Il cerino è nelle mani del Pd che segue però anime e correnti contrastanti. Il commissario Valter Verini ha parlato di esperienza politica conclusa, chiedendo scusa agli umbri per lo scandalo concorsopoli e indicando l’autunno come momento elettorale. I dem si sono presentati però ieri in assemblea con una proposta di rinvio, che non è affatto piaciuta al consigliere Giacomo Leonelli e che, invece, ha raccolto il favore di Eros Brega che, solo qualche giorno fa ha lasciato il Pd per atterrare nel Misto – Liberi e forti, strizzando dunque l’occhio a quella componente cattolica riformista che potrebbe individuare così un nuovo approdo nel caso in cu la disfatta democratica fosse imponente.

Strategie e riposizionamenti che ora vanno limati in vista del 17 (venerdì) o del 18. Ma che potrebbero lasciare altre spigolature tali da tenere la ferita ancora aperta. Fino alla chiusura delle urne.

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