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Latini bis, candidatura a ostacoli fra “Terni risorge” e l’indifferenza degli alleati

Il sindaco è disponibile alla nuova sfida ma non mancano le incognite: il lungo e difficile slalom verso le elezioni del 2023

Una settimana fa il sindaco di Terni, Leonardo Latini, annunciava la sua “disponibilità” ad una possibile ricandidatura in vista delle elezioni amministrative del prossimo anno. Da allora ad oggi, soltanto il capogruppo della Lega a Palazzo Spada, Federico Brizi, ha fatto coming out, accogliendo con favore l’ipotesi che il primo cittadino uscente si presenti di nuovo ai nastri di partenza delle urne. Ed è già questo un primo elemento che può aiutare a capire come il percorso verso un – eventuale – bis nel 2023 sia lungo e anche piuttosto tortuoso.

Se è vero che da qui al voto della primavera 2023 di acqua sotto i ponti ne dovrà passare ancora parecchia, è altrettanto vero che la ricandidatura di un sindaco al primo mandato dovrebbe essere scontata, o quasi. “A meno che – dice a microfoni spenti un esponente di alto profilo della coalizione di centrodestra – non abbia combinato qualcosa di grosso”. Cosa che in realtà, non è accaduta. E dunque, trovare scritto il nome di Leonardo Latini sulla scheda elettorale che sarà, come candidato di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia dovrebbe essere quasi un atto dovuto.

Dai forzisti non dovrebbero arrivare particolari veti: il partito di Silvio Berlusconi è quello che, almeno fino ad ora, ha creato meno grattacapi al sindaco, garantendo un appoggio solido e costante. Se queste sono le premesse, difficile immaginare uno “strappo” al rush finale. Semmai, si tratterà di verificare quale posizione assicurare agli azzurri in una giunta Latini bis, tenendo in considerazione anche i numeri che usciranno dalle urne: nel 2018, il presidente del consiglio comunale Ferranti, con 945 preferenze, è stato tra i primi tre votati in assoluto.

Neanche Fratelli d’Italia dovrebbe porre veti al Latini bis. Mettendo però sul piatto della discussione di coalizione due ragionamenti. Il primo di natura “politica”, sottolineando tutte quelle (mancate) azioni che hanno segnato la legislatura e che – soprattutto – non hanno innescato quella discontinuità amministrativa che invece era stata chiesta dagli elettori. Il secondo: la candidatura di un esponente del partito – probabilmente, Marco Squarta - al Comune di Perugia, dove però si voterà nel 2024. Non sfuggirà ai più, inoltre, che i rapporti fra Giorgia Meloni e Matteo Salvini si siano “raffreddati” negli ultimi mesi. E non è dunque escluso – anzi, è probabile – che gli effetti di Roma si rifletteranno sui territori.
La tenuta della coalizione dovrà insomma fare i conti con equilibri delicati ma anche con la consapevolezza che, solo insieme, si può sperare di ottenere lo stesso successo del 2018.

I numeri, appunto. La Lega quattro anni fa uscì dalle urne sfiorando il 30%, seguita da M5S (24%), Pd (12,5%), Forza Italia (9%) e Fd’I (6,3%). Cifre che oggi, probabilmente, non corrispondono più al vero. Soprattutto se proprio dentro la Lega non verrà sciolto il nodo principale. Perché, più che all’indifferenza degli alleati, Latini dovrà stare attento agli “assalti” amici. Da quando il sindaco si è detto “disponibile”, Radio Palazzo ha rimbalzato insistentemente la possibilità che la sua ricandidatura debba superare le mire di un altro leghista, Enrico Melasecche. Attuale assessore regionale, in molti lo danno già in campagna elettorale, con o senza la Lega. E c’è chi dice che ci sia già pronta una compagine a suo sostegno. Si chiama Terni risorge: un comitato o associazione che gli farebbe da spalla e che in moti accreditano di una quota percentuale che oscilla fra il 7 ed il 10 per cento. Ossia quanto basta a spedire l’esito del voto ad un pericolosissimo ballottaggio, dove le carte si mescolano in maniera poco controllabile e che potrebbe finire per avvantaggiare il centrosinistra. Dove ancora i nomi per il sindaco si mescolano alle suggestioni: Fabio Paparelli, attuale consigliere regionale dem, Thomas De Luca, anche lui inquilino di Palazzo Cesaroni in quota M5S, e Andrea Liberati, pentastellato oggi dietro le quinte della politica ma che potrebbe essere pronto a tornare alla ribalta di un “campo largo” di centro/centrosinistra.

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