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“Violenza di genere, cosa avviene dopo le denunce? Le istituzioni devono stare realmente accanto alle donne”

Casi triplicati, intervento del Forum donne Amelia: parlare di “amori violenti”, raptus, non accettazione di una separazione sono tentativi di giustificare degli agiti violenti che vanno invece sempre e comunque condannati

Riceviamo e pubblichiamo un intervento del Forum donne Amelia, associazione impegnata nella gestione del centro antiviolenza Barbara Corvi, in merito alla notizia, diffusa dai giorni da parte degli organi di informazione, sulla triplicazione di denunce e segnalazioni di violenza nei confronti delle donne a Terni e provincia.

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Il centro antiviolenza da noi gestito opera nel territorio Narnese-Amerino e dal gennaio 2019 ad oggi ha effettuato 244 ascolti di donne, 144 colloqui ed attivato 180 servizi (consulenze legali, psicologiche, accompagnamento ai servizi sociali, alle forze dell’ordine, ecc.).

In secondo luogo, quando parliamo di violenza bisogna intendersi sui termini ed usare un linguaggio appropriato, spesso i titoli dei giornali sono fuorvianti o non centrano il problema.

Per violenza di genere si intende la violenza diretta ad una persona sulla base della sua appartenenza, appunto, di genere, ovvero la violenza agita dagli uomini contro le donne proprio perché donne, che siano esse compagne, figlie, sorelle, madri, conoscenti etc; questo concetto è ormai universalmente riconosciuto in tutti i principali consessi istituzionali pertanto parlare di “amori violenti”, di raptus, di non accettazione di una separazione ecc. sono tentativi di giustificare degli agiti violenti che vanno invece sempre e comunque condannati e gli uomini maltrattanti e violenti debbono assumersi la responsabilità dei loro comportamenti, tanto più se questi portano all’uccisione delle donne, senza se e senza ma.

Altro aspetto è quello della violenza assistita da parte dei figli, spesso minori: occorrerebbe che rapidamente, quando le donne denunciano, anche i figli non solo venissero messi in sicurezza ma successivamente, soprattutto se non vogliono, non fossero costretti ad incontrare il padre violento. Se, come si sente spesso dire, il bene superiore deve essere quello del bambino o della bambina, perché costringerli a questi incontri per una supposta tutela dell’esercizio della genitorialità? Un padre violento può aspettare le decisioni del tribunale dei minori in accordo con i magistrati che stanno seguendo la denuncia della donna, ma così non è ed anche la donna denunciante è sottoposta al giudizio sulla genitorialità da parte di assistenti sociali e psicologi, come se aver subito la violenza non fosse diverso dall’averla agita.

Ultima considerazione: arrivare ad una denuncia quasi sempre per le donne è un percorso lungo, difficile, travagliato e molto doloroso, ma cosa accade quando anche questa viene fatta? Che provvedimenti vengono presi nei confronti del maltrattante? Con quale tempistica? Che formazione hanno gli organi inquirenti e la magistratura sulla violenza di genere visto che sono loro che se ne occupano? Che garanzie di tutela hanno le donne a seguito della denuncia? Quante case rifugio abbiamo in Umbria, sono sufficienti? Quante risorse economiche si investono realmente per aiutare le donne ad uscire dai percorsi di violenza?

Occorrerebbe rispondere in primo luogo a queste ed altre domande e non sollecitare soltanto le donne a denunciare se non si capisce cosa avviene dopo per loro e per i loro figli e figlie.

Le istituzioni devono stare realmente al fianco delle donne e non essere vissute, come a volte succede, come ulteriori persecutori. Per non parlare di cosa si fa in termini di prevenzione, ma questo richiederebbe un capitolo a parte.

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