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Cronaca

“Milioni di euro in Svizzera per non pagare le tasse”, imprenditore ternano finisce nei guai

Accertamenti del fisco su “capitali nascosti”, il caso davanti alla Corte di cassazione. I giudici: durante un accertamento ha anche cercato di bruciare i documenti gettandoli nel caminetto

Prelievi per alcuni milioni di euro. Ma anche 43 società a lui riconducibili ma “amministrate da soggetti con precedenti penali e privi di capacità imprenditoriale” e quell’episodio che lo vede lanciare alcuni documenti nel caminetto di casa nel tentativo di dargli fuoco e sottrarli all’accertamento.

Arriva fino alla Corte di cassazione – la quinta sezione civile – la vicenda che riguarda un imprenditore ternano oggetto di un accertamento fiscale avviato con l’obiettivo di “recuperare a tassazione ai fini Irpef” redditi di capitale relativi al 2006 e 2007 che stati accertati “sulla base di prelevamenti compiuti dal contribuente da una serie di conti correnti” intestati a lui e alla sua società.

Gli accertamenti della commissione tributaria di Terni, prima, e di quella regionale poi facevano leva proprio sulla contestazione per la quale “l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi” poggiasse proprio su “comprovati prelevamenti bancari” a seguito dei quali c’era stato il “trasferimento della valuta in Svizzera” senza che “il contribuente avesse fornito la prova contraria”.

Le decisioni delle commissioni tributarie sono state impugnate dall’imprenditore che ha contestato la “non corretta applicazione delle norme sul ragionamento presuntivo” sottolineando che le somme prelevate sarebbero poi state “rimesse (…) al soggetto (non individuato) generatore della stessa ricchezza”.

“A sostegno della pretesa erariale – scrivo però i giudici di Cassazione - l’ufficio ha offerto un profluvio di elementi indiziari, vale a dire: l’esistenza di 43 società create dall’interessato, amministrate da soggetti con precedenti penali e privi di capacità imprenditoriale; il comportamento non collaborativo del contribuente che, durante l’accertamento, ha perfino dato alle fiamme, gettandola nel caminetto, copiosa documentazione contabile; la circostanza che egli operasse direttamente o tramite soggetti delegati su conti correnti intestati alle dette società; gli ingenti prelevamenti, per alcuni milioni di euro, dai menzionati conti bancari; la reiterata esportazione di capitali in Svizzera e il fatto che gli importi prelevati non venissero utilizzati per finalità imprenditoriali, in assenza, nella contabilità delle diverse imprese del (…) di documenti comprovanti una simile destinazione. Viceversa, al fine di offuscare il vivido quadro indiziario a proprio carico, il contribuente non ha fornito alcuna prova contraria (…) in relazione al trasferimento di capitali all’estero, ha soltanto tratteggiato l’opaca figura del cosiddetto ‘spallone’ (ossia un corriere, ndr) che è l’esportatore professionale di valuta illecita, senza tuttavia riuscire a dimostrare né di esserlo stato né che il denaro trafugato in Svizzera non gli appartenesse”.

La giustificazione – insomma – sarebbe stata che i soldi in Svizzera erano effettivamente arrivati. Ma non erano i suoi: i trasferimenti di capitale erano conto terzi.

Tesi che la Cassazione ha rigettato, confermando gli accertamenti fiscali effettuati dalle commissioni tributarie e condannato l’imprenditore anche al pagamento delle spese legali: 11mila euro.

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