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L’Umbria imbianca e perde i pezzi, per ogni ragazzo sotto i 15 anni ci sono due over 65: la ricerca

L’analisi di Giuseppe Coco, ricercatore di Aur: negli ultimi 8 anni, la regione ha perso 22mila persone in età lavorativa, è arrivato il momento di adottare soluzioni ambiziose

“I problemi del nostro Paese sono tanti e tutti importanti ma se sulla questione della contrazione demografica non si inverte la rotta il sistema economico rischia di avvitarsi su se stesso”.

Giuseppe Coco, ricercatore di Aur, Agenzia Umbria Ricerche, dedica un focus al “nodo della popolazione”, puntando la lente su una delle conseguenze che l’inverno demografico in cui si trovano l’Italia – e l’Umbria – sta provocando. Il tema non è infatti soltanto quello della denatalità. Perché se “oggi come oggi – rileva Coco - non è immaginabile una crescita demografica in paesi come l’Italia” è pur vero che “da queste parti limitare i danni già sarebbe un successo. A sostegno di ciò, basti pensare che le proiezioni con base 2011 ci parlavano del rischio di uno scivolamento della popolazione sotto i 60 milioni nel 2050. Mentre – abitante più abitante meno – ciò è già una triste realtà nel presente 2021”.

“Decrescita e invecchiamento della popolazione hanno assunto un ritmo preoccupante. E, se la situazione non è omogenea in tutte le aree italiane ed europee, la tendenza è comune. In questo mondo la popolazione attiva, quella compresa tra 15 e 64 anni, sta diminuendo a favore della classe di età superiore. Col risultato che siamo di fronte ad un fenomeno non privo di conseguenze perché, come ben sappiamo, per produrre ricchezza, oltre al capitale finanziario (un certo ammontare di mezzi monetari) e al capitale fisico (impianti, macchine, ecc.) c’è bisogno di capitale umano che, in questo caso, significa avere una certa massa critica di popolazione in età lavorativa. E fra l’altro, non una popolazione indistinta ma una popolazione ben formata e in grado di supportare l’implementazione di tutte quelle attività ad alto valore tecnologico che fanno fare alle economie mature, un po’ ammaccate come la nostra, il salto di produttività”.

Coco illustra dunque alcuni dati per rendere concreta la cornice della situazione.

“Nei soli ultimi 8 anni, in Italia la fascia dei 15-64enni perde circa 650mila persone. Per avere un ordine di grandezza basta dire che sono tante quanto gli abitanti di una città come Palermo. Mentre l’età media è aumentata di 2 anni, l’indice di vecchiaia è cresciuto di oltre 30 punti e l’indice di dipendenza strutturale di più di 3. In Umbria, sempre nel periodo 2012-20, la popolazione in età lavorativa perde circa 22mila persone. Anche in questo caso, per avere un ordine di grandezza, è come aver perso una cittadina come Bastia Umbra oppure Orvieto, Corciano. L’età media è aumentata di 1,8 anni, un po’ meno dell’Italia, ma la regione partiva da livelli più elevati. L’indice di dipendenza strutturale fa registrare un salto in avanti di quasi 4 punti e quello di vecchiaia tocca vette preoccupanti, perché evidenzia che per ogni ragazzo con meno di 15 anni vi sono più di due ultra 65enni”.

“Dati alla mano, in Italia come in Umbria – rileva perciò Coco - inizia ad essere troppo alto sia il peso della popolazione inattiva su quella attiva, sia la percentuale di ultra 65enni sugli under 15”.

Un problema per cui è dunque urgente individuare una soluzione. “Certamente, negli anni non sono mancate azioni per arginare questo fenomeno, ciononostante la realtà è quella appena osservata. E in questa realtà chi scrive pensa che a fianco delle misure di portata generale adottate (o che si stanno per adottare) andrebbe avviata una sperimentazione di azioni specifiche su territori non ampi e omogenei per struttura demografica”.

“Territori dove mettere in piedi set di azioni mirate a supportare, ad esempio, le giovani coppie attraverso l’apertura delle scuole primarie e secondarie di primo grado fino alle 20 per 11 mesi l’anno, anziché prevedere una sorta di tutor che quando ci sono “impicci” possa accompagnare i figli a calcio, in piscina. In pratica – conclude così la sua analisi il ricercatore - mettere in piedi dei veri e propri laboratori sociali, finanziati direttamente e specificamente dall’Unione europea, dove attivare interventi mirati; ovviamente da esportare quando danno risposte positive. Quella appena esposta è un’idea chiaramente ambiziosa, ma la situazione è tale da richiedere la sperimentazione di progetti ambiziosi. In questa sollecitazione, l’Umbria avrebbe le caratteristiche per candidarsi in Italia quale laboratorio dove iniziare a sperimentare certi tipi di azioni”.

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